Ancora la manovra correttiva per il 2011 e il 2012 al centro del dibattito e delle reazioni, sia politiche che sindacali.
Il premier ha annunciato che nella discussione parlamentare potranno esserci “possibili” modifiche, ma “la somma” non potrà variare, alludendo al fatto che la manovra non potrà essere stravolta.
Sono stati precisati alcuni punti del provvedimento. Ad esempio, per quanto riguarda la pubblica amministrazione saranno bloccati gli aumenti automatici, dunque nessun taglio ma nemmeno nessun aumento e nemmeno ancora nessun turn over: sarà introdotto un aumento solo per chi produce di più. In pratica, una lotta contro l’improduttività.
Sarà stralciata la soppressione di 231 enti inutili, alcuni dei quali potranno essere mantenuti in vita, ma con una cura dimagrante di almeno il 50%. Insomma, esiste un ente che festeggerà i duemila anni di Vespasiano, che farà certamente convegni e conferenze, che ricorderà con opuscoli e pubblicazioni di carattere storico la sua figura, ma spendere 300 mila euro per un ente del genere è uno schiaffo al buon senso.
Tremonti, giustamente, è irremovibile nella sua decisione di sopprimerlo oppure di sottoporlo ad una cura dimagrante. E questo sarà il caso degli altri 230. Quanto al taglio di una parte delle province – quelle con meno di 220 mila abitanti – nella manovra non si parla di questo tema – il che ha fatto tirare un sospiro di sollievo a 13 città con pochi abitanti – ma non vuol dire che l’argomento è accantonato. Esiste un provvedimento ad hoc in Parlamento, la cosiddetta Carta delle Autonomie: il taglio sarà deciso in quella sede, ma probabilmente verrà fatto. L’opposizione, come già detto la scorsa settimana, ha tacciato la manovra di essere “iniqua” e “depressiva”.
Ha riconosciuto l’aspetto positivo della lotta all’evasione fiscale, ma complessivamente l’ha bocciata senza rimorsi, criticando in modo particolare anche l’assenza di un sostegno allo sviluppo.
Abbiamo già osservato come i tagli alla spesa pubblica (i due terzi della manovra) spesso sono anche tagli agli sprechi, esattamente come il taglio agli enti locali non significa soppressione dei servizi, ma soltanto organizzazione secondo l’efficienza e non secondo l’assistenzialismo.
Ad opporsi alla manovra sono i magistrati, i cui stipendi verranno decurtati del 20%. L’Anm (associazione nazionale magistrati) ha dichiarato una serie di scioperi, ritenuti “politici” dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e giudicati legittimi dai magistrati che sono stati toccati nel portafogli.
C’è da dire che la decurtazione del 20% va ad intaccare stipendi che generalmente si aggirano sui 6-8 mila euro al mese, in base all’anzianità di servizio. Sono in molti a protestare contro i tagli. Tra questi anche i medici oncologici i quali, non volendo rivelare i loro stipendi – che non sono propriamente da morti di fame – la buttano sui farmaci che verrebbero a mancare agli ammalati. La cosa è completamente destituita di fondamento, come ha assicurato il ministro della Sanità, Antonio Fazio, che ha dichiarato: “Nessun taglio né nel numero, né nella tipologia, né nella qualità delle prestazioni per la cura dei tumori, che rimangono una delle priorità del governo”.
Protesteranno anche i farmacisti, i quali minacciano fuochi e fiamme perché nella manovra è previsto un calo dei prezzi dei farmaci in generale e di quelli i cui brevetti sono già scaduti.
Insomma, la spesa pubblica deve tornare ad essere sotto controllo, non si può spendere più di quello che entra, l’Italia non potrà più continuare ad essere un bancomat, secondo la metafora di Giulio Tremonti.
Dall’Europa, oltre agli apprezzamenti, è arrivata la settimana scorsa l’ingiunzione ad adeguare l’età pensionabile delle donne a 65 anni, come dovrà avvenire nel resto dell’eurozona e chi non si adeguerà sarà sottoposto alla procedura d’infrazione e alle relative spese. Questo adeguamento era già previsto per il 2018 ma evidentemente dovrà essere reso operativo da subito. Due notizie, per concludere, tutte e due di segno positivo. La prima è che gli ultimi dati economici dei Paesi dell’Ue dicono che la crescita dell’Italia è dello 0,5% e che questa è superiore a quella della Francia e della Germania. L’Italia, insomma, è il Paese che in Europa cresce di più.
La seconda notizia, annunciata dal premier e dal ministro dell’Economia ultimamente ma circolante negli ambienti del governo e delle categorie sociali della Confindustria, è che la micro e la piccola impresa sarà liberalizzata.
In pratica, per aprire una bottega artigianale o un piccolo negozio o comunque una piccola impresa non ci vorranno più carte e scartoffie e mesi di attesa, ma basterà l’autocertificazione.
L’esperimento durerà tre anni. In un primo tempo era stato ipotizzato un provvedimento di tipo costituzionale, modifica dell’art. 41 e 117 della Costituzione, ma probabilmente si sceglierà un’altra strada, più breve.
L’annuncio di questo provvedimento – che mira a risparmiare costi burocratici e a facilitare la nascita di piccole imprese e quindi la crescita dell’occupazione e lo sviluppo economico – ha suscitato approvazione nelle associazioni di categoria e anche tra singole personalità dell’opposizione.
Il provvedimento completa la manovra correttiva: non solo tagli alla spesa pubblica, non solo lotta all’evasione, ma anche misure per la crescita e l’occupazione.
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