L’annullamento delle elezioni politiche è stato ritenuto un “golpe” dai partiti islamisti che avevano ottenuto la maggioranza ma Piazza Tahrir da minacciosa si fa gioiosa
Riflettori internazionali puntati su Damasco, in seguito all’abbattimento da parte della contraerea siriana del caccia turco che, secondo i siriani, aveva violato lo spazio aereo del confinante, ma soprattutto sull’Egitto, su quella Piazza Tahrir che per mesi era stata teatro di manifestazioni e scontri, fino alla cacciata di Mubarack dal potere e ai poteri assunti dalla Giunta militare che poi aveva preparato la transizione con le elezioni politiche già fatte ma che recentemente, il giorno prima del secondo turno delle elezioni presidenziali, sono state dichiarate nulle.
Come si ricorderà, ad annullarle è stata la Corte Suprema, con un giudizio insindacabile e inappellabile, ma la contiguità tra questa e la Giunta militare è nota. L’esercito, con tutta evidenza, ha fatto un “golpe” militare “dolce”, nel senso che ha assunto il potere che in realtà in Egitto ha sempre avuto. Il Parlamento eletto, per quanto la partecipazione popolare non sia stata eccezionale, ha fatto registrare il pieno dei Fratelli Musulmani e dei Salafiti, che hanno conquistato il 70%. Dopo il primo turno elettorale, i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti sono stati Mohammed Morsi (Fratelli Musulmani) e Ahmed Shafiq, ultimo premier di Mubarack prima della sua caduta. E’ evidente che l’esercito non si è rassegnato alla vittoria del candidato islamista e per evitare che il Paese precipitasse nel fondamentalismo ha agito secondo i poteri che aveva e che si è dato, compreso quello legislativo, in attesa di nuove elezioni. E’ noto – e non abbiamo mai mancato di sottolinearlo – che in Medio Oriente e nei Paesi arabi e musulmani la democrazia è un concetto incerto e mutevole. Hanno giocato e giocano fattori di potere e fattori di prospettiva del Paese.
All’indomani della caduta di Mubarack, l’Egitto aveva aggiustato l’asse delle sue alleanze: non più Paese in rapporti di buon vicinato con Israele (a partire dalla Guerra dei Sei Giorni), ma Paese rivolto contro Israele e con un filo più o meno diretto con i palestinesi e con l’Iran. I militari al potere, però, ora è chiaro, avevano spostato il baricentro della politica estera non perché ci credevano, ma solo per fare buon viso a cattivo gioco, rappresentato, quest’ultimo, dalla consapevolezza che i Fratelli Musulmani avrebbero potuto facilmente prendere il potere in Egitto con le elezioni libere ed allora sarebbe stata la fine della laicità del Paese e anche del loro potere, di quello dell’esercito. E’ esattamente quello che si è verificato e che gli osservatori internazionali avevano previsto. Era caduto un dittatore (Mubarack) laico e si paventava l’avvento del fondamentalismo, come in Iran e come in altri Paesi arabi, divisi tra di loro solo per questioni di potere e di famiglie.
Tornando all’attualità, all’annuncio dell’annullamento delle elezioni politiche e dell’assunzione del potere legislativo, i Fratelli Musulmani hanno invaso pacificamente Piazza Tahrir, minacciando il potere militare di creare una situazione di conflitto. A loro volta, i militari hanno diffidato dall’imbarcarsi in uno scontro, altrimenti avrebbero usato le maniere dure. Il crescendo di tensione si è protratto in quanto la Giunta militare al potere ha ritardato l’annuncio dei risultati ufficiali dell’elezione del presidente che, come si può facilmente capire, senza un Parlamento sarebbe una figura più che altro simbolica. Da giovedì 21 si è rinviato a venerdì 22, poi a sabato e infine a domenica 24 alle ore 15, quando, a sorpresa, contrariamente alle previsioni della vigilia, Morsi è stato dichiarato vincitore e primo presidente eletto democraticamente. Con tutta evidenza, il ritardo dell’annuncio ufficiale si è verificato perché i militari hanno valutato il pro e il contro. Se avessero fatto vincere Shafiq, sarebbero stati accusati di golpe, avrebbero dovuto lottare con una piazza inferocita e ci sarebbero stati scontri e sangue. Hanno preferito far eleggere il rappresentante degli islamisti, per ora senza potere, con cui evidentemente si è aperta una fase di dialogo con il quale i militari sperano di condizionarlo.
Se ci riusciranno, è difficile dirlo, anche perché non è certo l’orientamento di coloro che avevano sostenuto la rivoluzione e che adesso si trovano di fronte a due strade: appoggiare gl’islamici che prima o poi instaureranno in Egitto un regime fondamentalista o distaccarsene e continuare la mobilitazione contro i nuovi padroni. Se è così, i militari avranno buon gioco a fare da arbitri e a cercare di neutralizzare la deriva islamista della società egiziana. La quale potrebbe saldarsi con il potere degli Ajatollah in Iran e creare seri problemi nella regione. Per l’Egitto si è aperta una fase di incertezza che non si sa come sarà superata, semmai lo sarà.