Non è un mistero che il premier italiano, all’indomani della risoluzione Onu sulla no fly zone in Libia, fosse contrario all’intervento. Lo era non solo perché con Gheddafi aveva firmato appena un anno prima un trattato di amicizia tra l’Italia e la Libia, ma anche perché i servizi segreti italiani avevano avvertito che la gran parte della popolazione di allora stava con Gheddafi. Come si sa, molti nel Pdl erano favorevoli all’intervento, e lo erano soprattutto il presidente Napolitano e le opposizioni, per cui, di fronte a un così ampio schieramento, Berlusconi fece prevalere il senso di appartenenza ad una comunità politico-economica occidentale che, invece, voleva l’intervento e voleva contemporaneamente mettere le mani su una Libia che fino ad allora aveva un asse diretto con l’Italia. Quest’ultima aveva petrolio e gas dalla Libia, che per giunta bloccava i flussi dei clandestini. Insomma, il presidente del Consiglio si era dovuto piegare alla volontà dell’Onu e negare le basi per opporsi all’intervento avrebbe significato attirarsi le ire di tutti i Paesi che contano e che gliel’avrebbero in un modo o in un altro fatta pagare. Iniziato l’intervento, per vari mesi l’esito del conflitto è stato incerto, il che prova che i servizi segreti italiani avevano visto giusto. Ora la guerra è finita e Gheddafi e il suo regime pure, e bisogna guardare al futuro, delineato dal ministro degli Esteri, Franco Frattini – colui che nella maggioranza, fin dall’inizio, voleva l’intervento dell’Italia – con grande equilibrio e lungimiranza. Il ministro italiano ha invitato il Consiglio Nazionale transitorio a formare un vero e proprio esercito regolare e nazionale libico, in modo da bloccare le vendette e le rappresaglie che un conflitto cruento e violento sta comportando e potrà ancora comportare nel futuro. L’esperienza irachena docet: lì, preso e giustiziato Saddam, le opposte fazioni inasprirono gli animi, per cui gli attentati esplosero e il sangue bagnò le strade e le piazze irachene, malgrado la presenza di quasi 150 mila soldati americani e di altri Paesi. La seconda proposta di Frattini è stata la continuazione della “sorveglianza dell’Onu”, che va attuata da subito. Tale “sorveglianza” militare mira alla stabilizzazione del Paese, alla ripresa delle attività economiche e alla garanzia del percorso democratico in un Paese che alla democrazia non c’è mai stato abituato. Queste proposte servono a garantire il recupero del massimo possibile degli interessi italiani in Libia, con le grandi compagnie che hanno ripreso le loro attività (Eni, Finmeccanica, Alitalia e tante altre) e che hanno bisogno di sicurezza e di un clima di pacificazione. Ma queste proposte, sicuramente condivise dai Paesi dell’Alleanza, offrono, come detto, la garanzia che il processo democratico sia reale e non confusionario, duraturo e non fittizio, tale, insomma, da non riportare la Libia indietro. Il rischio esiste. Una parte della dirigenza, sia politica che militare, è cresciuta sotto Gheddafi, ne ha condiviso il potere e se ne è distaccata, per convinzione o per convenienza, in tempi non remoti. Un’altra parte è rappresentata dalla cosiddetta società civile, che è estremamente variegata e vuole contare, ma potrebbe soccombere di fronte alla maggiore esperienza dei rappresentanti del vecchio regime e anche alla fiumana degli islamisti, anch’essi con posizioni diverse ma motivati dal punto di vista religioso e meglio organizzati. La via della Libia alla democrazia non è scontata e proprio per questo, come ha detto il ministro Frattini, va “sorvegliata”.