L’iniziativa di Abu Mazen di presentare ufficialmente la richiesta all’Onu del riconoscimento dello Stato della Palestina non ha avuto successo. In seno al Consiglio di sicurezza i voti a sostegno sono stati solo otto, mentre dovevano essere nove per il via libera alla discussione in sede di assemblea generale, dove il voto favorevole sarebbe stato, forse, in maggioranza. È una sconfitta personale di Abu Mazen, che ufficialmente era stata avversata anche da Hamas, l’ala estremista dei palestinesi, ma in realtà è la sconfitta di tutti coloro che volevano trovare una soluzione giusta e ragionevole al problema palestinese. Diciamoci la verità, sono decenni che si tratta per arrivare a due Stati, ma quando la trattativa sembra sfiorare il successo, chissà perché, sorgono ostacoli che rimettono in discussione i risultati faticosamente raggiunti. Camp Davis, Oslo e, più recentemente, un paio di anni fa: sono altrettante tappe di dialogo segnate da ritorni al passato. Da una parte esiste – ed è drammaticamente reale perché i missili che piovono su Israele dalla Striscia di Gaza sono una pioggia di bombe – la sicurezza di Israele; dall’altra esiste la sovranità di un popolo e il diritto di vivere in uno Stato con un territorio adeguato. Dagli errori commessi nel 1967 con la guerra dei Sei Giorni – quando Egitto, Libano e Siria attaccarono Israele e furono sconfitti – sembra che non sia facile uscire. Una volta sono gli estremisti palestinesi che non riconoscono e vogliono cancellare Israele, un’altra volta sono gli israeliani che occupano i cosiddetti Territori (Gerusalemme Est e Cisgiordania) con un numero sempre crescente di fattorie e case (circa 500 mila): un accordo non si trova mai. Ecco perché l’iniziativa di Abu Mazen di chiedere all’Onu il riconoscimento dello Stato della Palestina era un modo per sbloccare lo stallo. Adesso ricominceranno le scaramucce giuridiche e dialettiche ma di fatto l’orologio della pace e dell’accordo è fermo. Gli Usa avevano minacciato il veto non perché consideravano sbagliata la mossa di Abu Mazen, ma perché la lobby ebraica è molto forte negli Usa e in qualche modo Obama voleva tenersela buona per la sua rielezione, stoppando appunto l’iniziativa palestinese. Adesso, per salvare la faccia, Abu Mazen cercherà di ottenere lo status di Paese osservatore, ma è solo per limitare i danni dell’insuccesso.È un peccato, perché in futuro le cose al posto di semplificarsi rischiano di complicarsi maledettamente. Obama, lasciandosi andare a giudizi poco lusinghieri su Netanyahu in un fuori onda con Sarkozy, difficilmente avrà dalla sua parte tanti voti da parte degli ebrei americani. Israele, da solo, non riuscirà ad attuare un attacco contro un Iran che sempre più minaccioso in caso di dotazione nucleare e pagherà in termini di sicurezza. I Paesi intorno, dall’Egitto alla Siria, stanno vivendo un periodo di sconvolgimenti. Tutto concorre a fare del Medio Oriente un vulcano pericoloso che rischia di esplodere in concomitanza con la maturazione di tutti i fattori di rischio. Il guaio è che nessuno favorisce davvero una soluzione valida e praticabile e il mondo è costretto ad assistere impotente ad una situazione che così non potrà durare in eterno. [email protected]