Con 2.989 unità vendute nello scorso mese di ottobre, Fiat 500 è entrata per la prima volta nella classifica delle 10 auto più vendute in Inghilterra.
Secondo i dati forniti dalla Society of Motor Manufacturers and Traders, la casa torinese ha totalizzato complessivamente ad ottobre 6.570 immatricolazioni nel Paese di sua maestà Elisabetta II, che rappresentano un incremento del 117,5% rispetto allo stesso mese del 2008 (3.020 unità). La quota di mercato di Fiat è così salita da 2,58% al 2,90%.
A questo risultato hanno contribuito il crescente gradimento del pubblico (la 500 è stata eletta recentemente Best Superminì dalla rivista What Car?) e il lancio della versione 500 C nella scorsa estate.
Davanti alla piccola di casa Fiat (9° posto), anche se solo di poche unità (3.120 auto vendute), la nuova Mini. In cima alla top ten, la Ford Fiesta (8.812).
Ma la situazione in Italia non è altrettanto rosea. Qui i sindacati Fiom, Uilm, Fim Cisl e Fismic chiedono alla Fiat un piano industriale perché il Lingotto sia ‘grande’ non solo all’estero ma anche e soprattutto in Italia.
Per questo i sindacati sollecitano perchè ci sia, al più presto, un confronto anche con loro, dopo che si è chiusa la partita con Chrysler.
Incontro che avrà luogo a fine mese ma non è ancora chiaro se prima o dopo il Comitato aziendale europeo che si terrà dal 25 al 27 novembre a Torino tra le rappresentanze sindacali dell’Europa e il gruppo dirigente.
“Chiediamo un piano industriale anche in Italia – ha dichiarato Enzo Masini, coordinatore nazionale auto della Fiom Cgil – perché il Paese abbia un punto fermo: dobbiamo tornare a produrre oltre un milione di auto, se no si mettono a rischio stabilimenti e posti di lavoro diretti e nell’indotto, cioè qualche decina di migliaia di posti”.
Come? Puntando su nuovi modelli che facciano volumi.
“La sede in cui si deve discutere davvero – ha continuato Masini – è con il governo a Palazzo Chigi perché si deve sviluppare un confronto sui riflessi del piano Chrysler”.
Su Termini Imerese, Masini ha sottolineato che “cessare l’assemblaggio di vetture significa mettere a rischio 2.400-2.500 posti diretti e indiretti”.
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