Dopo una assenza di due anni il WEF torna a rivolgersi alla coscienza degli stakeholders, a tutti gli interessati al destino economico e sociale del mondo.
Il WEF lo fa invertendo i ruoli, inducendo i potenti a mostrarsi per quello che sono, eccessi compresi.
Ecco quindi che, alla ricerca di visibilità commerciale, un tranquillo paese di montagna, i suoi alberghi e persino i suoi negozi per una settimana assistono alla fiera delle vanità dei partecipanti, che accorrono, pagano e strapagano spazi commerciali ed alloggi per mostrarsi uno migliore dell’altro, confermando in tal modo, non implicitamente, che la strategia congressuale dell’uomo di Davos, il Professor Klaus Schwaab il fondatore del meeting, è quella giusta e che un esame di coscienza è doveroso, legittimo e, vedremo tra breve, dunque necessario.
Perché è da un confronto tra il ruolo di chi ha, chi non ha, chi assiste e chi attende, che si riescono ad elaborare le decisioni per tutta una serie di iniziative che in seguito effettivamente rivoluzioneranno la vita del mondo civile, l’unico stakeholder a rappresentare sé stesso
A confermare l’interesse mediatico dell’evento, premettiamo che a Davos sono presenti quasi 1900 tra leader economici, governativi e delle pubbliche amministrazioni mondiali.
Fra questi, ad esempio è confermato il video collegamento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, l’assenza della delegazione sovietica, e la presenza del Cancelliere tedesco Olaf Scholz, della presidente UE Ursula von der Layen, e del vicepremier cinese Liu He.
Gli USA, assente il Presidente Biden, saranno rappresentati dall’inviato per il clima John Kerry e dalla Rappresentante del Commercio Katherine Tai.
Per il mondo politico italiano sarà presente il ministro per l’Istruzione Giuseppe Valditara, mentre Paolo Gentiloni partecipa in qualità di commissario Europeo per gli affari economici UE.
Come in passato, anche la odierna 53° edizione del WEF di Davos riassume i problemi, ormai ben noti, che agitano il nostro periodo storico. Alla pandemia è seguito il conflitto russo ucraino, cui si sono aggiunti blocchi alla produzione, carenze energetiche, inflazione, emergenze climatiche preludio di importanti fenomeni migratori tutt’ora in corso.
Questi elementi ora infiammano un mondo finanziario che, in cerca di resilienza dopo la crisi borsistica del 2008, si è trovato inondato da abbondante liquidità monetaria e tassi azzerati, il che ha creato le premesse di un’altra crisi che attendeva solo un pretesto per manifestarsi nelle problematiche in cui ora ci dibattiamo e che la agenda programmatica del Forum di Davos 2023 si propone di affrontare.
La rifondazione degli equilibri globali, ribadisce infatti il WEF, passa attraverso il dialogo e la cooperazione tra pubblico e privato, affinché si realizzi realizzare quella “Cooperazione in un mondo frammentato” che ispirerà gli incontri dei prossimi giorni e che nelle intenzioni dovrebbe ispirare la attività dei partecipanti per i prossimi dodici mesi.
Esaminiamo quindi le cinque sfide proposte dal Forum di Davos edizione 2023.
“Affrontare le attuali crisi energetiche e alimentari nel contesto di un nuovo sistema per l’energia, il clima e la natura”.
Si tratta di problematiche interdipendenti, che anche stavolta sollecitano il modello capitalistico ad una autocoscienza ed un ravvedimento operoso per rimediare ad alcuni degli errori del recente passato: lo scoppio della bolla dei subprime, le indiscriminate delocalizzazioni produttive in paesi a basso costo, accompagnate da remunerazioni salariali sempre maggiori per gli stessi dirigenti che le avevano decise.
E qui siamo al punto, alla coscienza collettiva cui il Forum rivolge il suo messaggio: ricordare che, oltre ad esserne la causa, oggi il sistema capitalistico è tenuto ad elaborare soluzioni concrete, perché l’inerzia ne metterebbe in pericolo la sua stessa esistenza, ancor prima di quella degli stakeholders. Il cambiamento climatico e gli imperativi legati alla transizione energetica entro il 2030 sono gli l’esempi più chiari del dilemma in cui ora si dibatte il nostro sistema di sviluppo, sollecitato anche dalla rinnovata necessità di equità sociale rinnovata da fenomeni migratori in costante evoluzione.
“Affrontare l’attuale economia ad alta inflazione, bassa crescita e alto debito nel contesto di un nuovo sistema per gli investimenti, il commercio e le infrastrutture”
Conseguentemente alla premessa descritta nel paragrafo precedente, ora elaboriamone le medesime tematiche in ambito di bilanci pubblici: invertendo i fattori il risultato non cambia. Le autorità politiche oggi scoprono di avere spazi fiscali limitati, e si dibattono tra la necessità di un recupero industriale che vorrebbero continuare a favorire con tassi bassi ed alta liquidità, mentre le esigenze di mercato impongono politiche fiscali restrittive per fermare la inflazione. I primi a pagarne le conseguenze, non solo in termini ambientali ma di rimborso dei prestiti ricevuti, sono i paesi in via di sviluppo, le fabbriche del mondo che grazie ai loro bassi costi hanno fatto comodo ai nostri modelli di consumo. Paradossalmente, le misure protezionistiche conseguenti al Covid-19, per cominciare, ora innanzitutto complicano il commercio globale, la libertà di mercato che nell’ultimo trentennio ha rappresentato il fondamento del commercio globale. Ma c’è dell’altro: proprio la pandemia ha impoverito 120 milioni di persone e, come non bastasse, ha fatto risaltare in tutti i mercati il sottofinanziamento delle infrastrutture critiche. Ecco quindi, che pur cambiando la prospettiva di analisi, in un mondo multipolare, oggi si riconferma la necessità di una collaborazione tra le parti interessate, ovvero gli stakeholders cui si rivolgono le conferenze del Forum di Davos, per riprogrammare nuovi modelli di prosperità e sviluppo economico.
“Affrontare gli attuali venti contrari dell’industria nel contesto di un nuovo sistema di sfruttamento delle tecnologie di frontiera per l’innovazione e la resilienza del settore privato”: anche questo capitolo, non è che la conseguenza degli intenti programmatici esaminati sinora. La digitalizzazione, il nuovo dialogo che specie nell’ultimo biennio si è venuto ad instaurare tra intenza artificiale-AI e le umane necessità, la cosiddetta Quarta rivoluzione industriale-4IR, oltre alla frammentazione del dialogo politico internazionale ed alle necessità ambientali, oggi impone anche alla industria un riposizionamento di obiettivi, strategie e metodiche, affinché la tanto attesa resilienza non diventi fine a sé stessa, ma si traduca in un obiettivo cui rivolgersi affinché gli sforzi che dovremo compiere verso la futura prosperità socio-ambientale vengano accettati e percepiti come condivisi anche a livello planetario.
“Affrontare le attuali vulnerabilità sociali nel contesto di un nuovo sistema di lavoro, competenze e assistenza”. E’ uno dei punti critici del modello economico post-pandemico, e sottolinea una contraddizione all’apparenza inspiegabile: da un lato le esigenze economiche impongono la ripresa; a queste necessità la forza lavoro replica con una great resignation, dimissioni in massa, alla ricerca di modelli di vita più semplici ed appaganti, malgrado una risorgente inflazione cui ci si illude di rispondere ricorrendo ai sussidi statali che ci hanno confortato durante i problematici, interminabili periodi del lockdown sanitario. A farne le spese, ancora una volta, sono l’anello più debole della catena sociale, gli strati sociali che vivono nei mercati emergenti e che sino all’arrivo della pandemia hanno tratto il loro sostentamento producendo a basso costo beni e servizi che non interessavano più alle economie mature. Anche in questo ambito, la coscienza dei potenti mondiali cui si rivolgono le conferenze del WEF, è sollecitata a predisporre un nuovo contratto sociale che rilanci investimenti non solo in ambito industriale, ma anche nell’istruzione, nelle competenze e nell’assistenza sanitaria ed inoltre che nel breve intercetti le esigenze sociali insoddisfatte alla base della great resignation, e quindi ponga le basi per una mobilità sociale che dia certezza al futuro delle economia globale di cui tutti percepiamo la necessità.
“Affrontare gli attuali rischi geopolitici nel contesto di un nuovo sistema di dialogo e cooperazione in un mondo multipolare”. Era inevitabile che anche la guerra russo-ucraina diventasse concausa delle odierne congiunturali.
Dopo l’inizio del conflitto est-europeo, apparti come quello commerciale, che hanno portato benefici alla collettività internazionale sono stati usati come armi per penalizzare gli avversari ed obiettivi che erano previsti diventare modello di collaborazione fra stati, come il cambiamento climatico, oggi li ritroviamo in prima linea nel combattimento di una guerra impropria, in forma mediata, indiretta, tra blocchi contrapposti. L’ordine globale cooperativo instauratosi negli ultimi 25 anni dopo la caduta del muro di Berlino, oggi si è dissolto e la geopolitica internazionale, i rapporti tra gli stati, sono regrediti da un modello cooperativo ad uno competitivo. È quindi indispensabile, avverte il Forum di Davos, che il sistema economico impostoci dalla resilienza oggi recuperi consenso, piuttosto che sviluppare antagonismo fra gli stakeholders mondiali.
di Andreas Grandi