La decisione presa dal comitato ad hoc dell’Unesco che non ha tenuto conto del parere del Consiglio internazionale e ha adottato la procedura d’urgenza
L’Unesco, nella seduta del comitato ad hoc riunitosi venerdì della settimana scorsa a San Pietroburgo, ha dichiarato la Basilica della Natività a Betlemme “patrimonio dell’umanità”, suscitando un vespaio di critiche. La Basilica della Natività, che è un complesso che comprende anche la strada dei pellegrini, si trova a Betlemme, cittadina palestinese che sorge ai confini tra Israele e la Cisgiordania. Essa è tenuta dai francescani, dai greci ortodossi e dagli armeni, spesso in lotta tra di loro, ma su questo punto in totale accordo. Secondo loro, infatti, c’è il rischio di strumentalizzazioni politiche.
La richiesta di farla rientrare nel “patrimonio dell’umanità”, quindi sottraendola in un certo senso alla cristianità per innalzarla, è stata presentata l’anno scorso dal premier palestinese, quasi in contemporanea con l’ingresso dei palestinesi nell’Unesco, dopo che era stato impedito loro di fondare ufficialmente lo Stato dei Palestinesi, Di solito, la procedura d’urgenza non solo è rara, ma viene fatta precedere dall’autorizzazione dell’Assemblea dell’Unesco. In questo caso, invece, non si è tenuto conto del parere negativo del Consiglio internazionale dei monumenti, e con procedura d’urgenza, come detto, è stato ratificato il nuovo “acquisto”.
Chi è favorevole alla decisione? I palestinesi, naturalmente, perché vedono in questa decisione un diritto loro riconosciuto, e nello stesso tempo una implicita ma chiara sconfessione delle prerogative di Israele su quei territori occupati dopo il 1967, con la guerra dei Sei Giorni, dichiarata dall’Egitto, dalla Siria e dalla Giordania contro Israele che, appunto in sei giorni, vinse la guerra occupando alcuni territori palestinesi. Qualcuno di essi, come la Striscia di Gaza, fu ridata dagli israeliani ai palestinesi, ma altri, specialmente quelli situati a Gerusalemme Est non solo non sono stati ridati ai palestinesi, ma sono stati occupati dai coloni israeliani che di fatto ne sono proprietari (ci convivono anche con i palestinesi).
Sono contrari i monaci che tengono la Basilica. Perché, visto che non di rado litigano tra di loro e passano altrettanto rapidamente alle vie di fatto? Semplicemente perché ora, bene o male, il tempio è tenuto dai cristiani che si alternano nelle pulizie e nell’accoglienza, dopo non si sa. Comunque, per loro è una sconfitta, in quanto hanno tutto da perdere. In secondo luogo, a Betlemme di arabi cristiani ce ne sono sempre di meno, dunque è evidente la possibilità che luoghi cristiani vadano a finire in mani arabe.
Si oppone Israele, per gli stessi motivi, ma all’opposto, per cui sono contenti i palestinesi. Vedono nella decisione una sconfessione di Israele stesso, che, bene o male, garantiva la praticabilità dei luoghi. Israele lo è per un’altra ragione, espressa dal premier Netanhyau in una dichiarazione pubblica: “E’ solo una decisione politica. Bisogna ricordare che la chiesa è già servita in passato come base per i terroristi palestinesi. Con questi gesti unilaterali, si allontana la pace”.
Sono contrari gli Usa, che si dicono “delusi”: “La Basilica è un luogo sacro per i cristiani e non dovrebbe essere politicizzata”.
La decisione sarebbe motivata con l’urgenza dei lavori di restauro che non sono stati fatti da circa un secolo e mezzo, ma una ricerca italiana del Cnr dice che i lavori che si dovrebbero fare sono di media complessità e richiedono circa 30 milioni. Insomma, la decisione si presta a più letture e certamente non mancherà di suscitare polemiche, anche perché in Medio Oriente ogni contrasto diventa politico e ogni soluzione viene impedita dagli avversari.