In politica estera le minacce del presidente iraniano contro le sanzioni decise dall’Onu non fanno più notizia, sia perché sono scontate, sia anche perché le sanzioni stesse avranno effetti non determinanti.
Si tratta di vedere se l’Iran riuscirà a fare qualche passo in più verso gli obiettivi prefissati – la costruzione dell’arma nucleare – e fino a che punto la comunità internazionale sarà disposta a rimanere inerte. In assenza di sviluppi e di altri fatti politici di spessore, ritorna in primo piano la tragedia della marea nera nel Golfo del Messico.
Il presidente Obama è deciso a giocarsi anche la carta della rielezione pur di gestire nel migliore dei modi il disastro ambientale. Il che significa che ha preparato lo scenario dal quale far scaturire una linea che farebbe ricadere tutta la responsabilità sulla Bp, come in effetti è. Nei giorni scorsi, il presidente americano ha visitato i luoghi del disastro per la quarta volta preparando i passi successivi, innanzitutto il discorso alla nazione, con il quale ha posto la soluzione della tragedia al centro della sua politica a qualunque costo.
Ha detto, infatti, che toccherà pagare alla Bp tutti i danni causati alle persone e all’ambiente, che verranno mobilitate tutte le risorse di cui l’America dispone, compreso “l’esercito più grande del mondo”, per riportare l’ambiente allo splendore di una volta, e che è venuto il momento per una svolta nell’approvvigionamento energetico per cambiare tipo di energia e per diventare autonomi.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante perché se le trivellazioni dovranno diventare più sicure per non ripetere gli stessi errori, è pur vero che le fonti energetiche alternative – il vento e il fotovoltaico – dovranno essere la prospettiva futura.
L’altra tappa della strategia di Obama per riprendere in mano l’iniziativa è stato l’incontro con i responsabili della Bp, i quali, evidentemente, non hanno potuto fare altro che quello richiesto dal presidente americano e che è il minimo per rimborsare il personale e le vittime del disastro.
È stato lo stesso Obama, infatti, ad annunciare che autonomamente la Bp ha deciso di istituire un fondo di 20 miliardi di dollari come risarcimento alle vittime. Questi 20 miliardi di dollari saranno accumulati non tutti insieme ma a distanza di alcuni anni, per evitare la bancarotta alla società, e saranno gestiti dall’amministrazione americana.
Ecco un passo dell’annuncio di Obama: “La gente del Golfo ha la mia assicurazione che la Bp assicurerà i suoi obblighi. La struttura che stiamo creando oggi (il fondo per le vittime, ndr) è un passo importante per restituire loro il benessere. Io continuerò a battermi ogni giorno fino a quando la perdita di petrolio sarà chiusa, l’economia risanata e la regione si risolleverà da questa tragedia”.
La Bp, dal canto suo, ha cercato, agli occhi dell’opinione pubblica, di risollevare la reputazione della società annunciando che per il 2010 non saranno dati dividendi agli azionisti e facendo pubbliche scuse al popolo americano.
Se il presidente americano ha ripreso in mano la gestione politica di tutta la vicenda, ci sono da segnalare due aspetti.
Il primo è che i responsabili della Bp sono stati il giorno dopo processati dal Congresso Usa e accusati di aver voluto perseguire gli affari ai danni della sicurezza. Il secondo aspetto è che in realtà il disastro è ben lontano dall’essere risolto.
Innanzitutto, esiste tuttora il problema di come arginare la fuoriuscita del petrolio. Non è vero che la falla è stata otturata, c’è qualche progresso, ma la fuoriuscita di petrolio c’è ancora. Probabilmente, non ci sarà soluzione prima di alcuni mesi. In secondo luogo, una volta chiusa la falla, resta l’immane problema di come fare per ripulire l’ambiente.
Non sarà facile, è facile parlarne, ma è molto difficile bonificare centinaia e centinaia di km quadrati di oceano, di spiagge annerite dal petrolio, ridare la vita ad animali che non trovano più il loro habitat e risanare l’economia di una regione intera e immensa praticamente azzerata.
Non è questione di buona volontà, non è questione dell’esercito. Qui si parla di almeno vent’anni prima che si ritorni a condizioni di vita e di economia accettabili. Probabilmente, su questa tragedia si deciderà la rielezione o la sconfitta di Obama alle prossime elezioni, fra due anni e mezzo.
E sicuramente sarà il tema al centro di altre, successive, elezioni politiche, perché la tragedia è davvero di grosse proporzioni.
Insomma, le carriere politiche e istituzionali si giocheranno sul filo dei risultati. O ci saranno risultati o sarà difficile essere rieletti.
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