Non sappiamo come andrà a finire la protesta in Turchia, se rientrerà o se sarà ancora più violenta, sappiamo però due cose, e cioè che, al di là delle motivazioni politiche ed ambientali che l’hanno provocata, c’è stata una protesta violenta, che ha incendiato auto, divelto pali e saracinesche ed ha fatto notevoli danni, e c’è stata una reazione altrettanto violenta della polizia, con proiettili di gomma, idranti con liquidi urticanti, manganellate. La violenza, insomma, ha provocato violenza, gli scontri duri, portati alle estreme conseguenze, non hanno portato a nulla di buono.
Dopo il duro braccio di ferro, c’è stato un coreografo, Erdem Günduz, che è rimasto per ore al centro di Piazza Taksim, solo, all’impiedi, immobile, silenzioso, con un libro in mano. A poco a poco, quella condizione che è toccata a ciascuno di noi sicuramente tante volte nella vita, per la strada, davanti al bar, lì, in quel contesto di scontri e di calma surreale che ne è seguita, in quel preciso luogo, con quella carica di emotività che un palcoscenico dl genere ha creato, ebbene, quello stato, di colpo, ha assunto un significato simbolico, si è caricato di pensiero, di progetti, di ideali, di cultura. La protesta ha fatto un salto enorme di qualità, più limpida e più allusiva, più potente. Quelle figure immobili, fisse, scultoree, emanavano un’atmosfera che nessun’altro tipo di protesta avrebbe potuto trasmettere.
Se paragoniamo il tipo di protesta violenta dispiegata giorni prima (e purtroppo giorni dopo) con questo tipo di protesta, pacifica e silenziosa, non si può non pensare alla non violenza gandiana, messa in atto in ben altra durezza di condizioni, in ben altri tempi, fatti di soprusi e prepotenze che oggi sono inimmaginabili. E non si può non pensare al fatto che la non violenza, nelle forme con cui si è espressa in Turchia, ha ottenuto molto di più di quanto abbia ottenuto e potrebbe ottenere una protesta violenta. Non solo in termini di risultati, ma in termini di comunicazione, di metodo, di favore.
E’ singolare come un’idea così geniale sia venuta non da un uomo qualsiasi, ma da un coreografo, cioè da un artista. C’è poco da fare: l’arte sa comunicare meglio dell’ideologia. Nella storia, nella storia della letteratura e del pensiero in generale, non si ricordano più tanto le piccole rivoluzioni, i piccoli gesti di violenza, si ricordano le opere di musica, di teatro, di letteratura, che hanno acceso di “sacro furore” le coscienze. Magari i risultati sono stati meno immediati, ma certamente più educativi e formativi.
Dalla Turchia è nato un messaggio rivolto a tutto il mondo. Riflettiamo un istante sulla genesi di questo tipo di protesta. Un artista lo ha immaginato e progettato, la folla che lo ha accolto e lo ha immediatamente fatto proprio. Ma c’è di più. Il vice premier Bulent Arinc ha detto: “Non è un atto di violenza, non possiamo condannarlo” (riferendosi all’autore, ndr). Dall’apprezzamento morale si è passato subito a quello estetico, ma questa volta a parlare sono stati i sostenitori di Erdogan, che hanno detto: “Se è cosa buona e giusta, facciamola anche noi”. E così è stato: “Un uomo in piedi contro un uomo in piedi”. Oppositori e sostenitori di Erdogan, manifestanti e poliziotti si sono così ritrovati insieme, negli stessi luoghi, con i giornali o i libri in mano, quindi la piazza è diventata una grande biblioteca all’aperto, cioè la protesta pacifica diventa cultura, civiltà.
Certo, gli autori dei danneggiamenti sono stati arrestati, molti poi liberati, i poliziotti che hanno usato violenza, a giudicare dalle cronache dei giornali, saranno messi sotto inchiesta e si lamentano perché alla fine sono loro ad essere stati sotto i colpi dei violenti e siccome hanno reagito, sono loro, forse, a pagare. Però, è innegabile una lezione per tutti: oppositori e sostenitori immobili l’uno di fronte all’altro, pacificamente. Magari, alla fine scoppierà una grande risata, che, se avviene, sarà liberatoria, pur rimanendo protesta. Che è sempre meglio che delle ferite e delle sofferenze alle persone e danneggiamenti e devastazioni alle cose. Resta un rammarico: che sia durata poco, soverchiata da nuovi, duri scontri.