Sarà che l’amministrazione americana vuole reagire al calo di popolarità del presidente, sarà che gli eventi internazionali in varie aree incalzano, fatto sta che dagli Usa sono partiti segnali di ripresa dell’iniziativa politico-diplomatica. Cominciamo con una mini svolta nel campo delle fonti energetiche, che può apparire come un fatto di politica interna, ma non lo è perché il messaggio avrà ripercussioni anche all’estero, in primo luogo in Italia.
Obama la scorsa settimana ha annunciato la costruzione di due nuove centrali in Georgia per la produzione di energia elettrica, dicendo che “il nucleare è sicuro e pulito”.
Esse saranno solo l’inizio di un piano che ne prevede altre. Negli Usa attualmente ce ne sono 104, che producono il 20% del fabbisogno nazionale. Obama, nella campagna elettorale, aveva puntato sull’energia pulita del vento e del sole, ma si vede che si è reso conto che queste fonti alternative sono più costose del nucleare e con più incognite sulla quantità di energia realizzabile.
Dicevamo che la decisione avrà effetto positivo anche nel dibattito in corso in Italia, dove il governo sta procedendo all’individuazione dei siti per la costruzione di quattro centrali che dovrebbero entrare in funzione nel 2020.
Dagli Usa è partita una nuova offensiva nei confronti dell’Iran, che dovrebbe culminare con l’adozione, entro la fine di febbraio o l’inizio di marzo, di sanzioni economiche definite “severe”. Hillary Clinton ha lanciato due messaggi ai governanti iraniani. Il primo è che quel Paese sta andando “verso la dittatura militare” e il secondo è che “l’Iran non avrà l’atomica”. Questa seconda dichiarazione è stata fatta nel corso di una visita agli alleati nel Golfo.
Ma le dichiarazioni non sono isolate. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, venerdì scorso ha dichiarato che “se l’Iran continuasse a perseguire l’aumento della sua capacità nucleare, e soprattutto se ciò avvenisse nel campo dell’armamento missilistico, allora i Paesi della Nato potrebbero essere minacciati. E allora sì, questa diventerebbe una questione di competenza della Nato, una questione che la Nato sarebbe chiamata ad affrontare”.
Clinton da una parte, Rasmussen dall’altra e in mezzo ci sono altri fatti preoccupanti. Uno è che l’Aiea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica dell’Onu, ha con molta chiarezza lanciato l’allarme sulla possibilità che l’Iran si doti dell’arma nucleare.
L’Aiea era sempre stata prudente, aveva mantenuto la porta aperta al dialogo, ma ora ha ceduto di fronte all’evidente e reiterata volontà dell’Iran di chiudere il dialogo e di perseguire i suoi scopi. Inoltre Mosca ha irrigidito la sua posizione nei confronti dell’Iran. Non solo sta ritardando la consegna di 300 missili, ma ha apertamente espresso le sue preoccupazioni.
Mosca approverà le sanzioni proposte dagli Usa in sede di Consiglio di sicurezza dell’Onu e, a detta di Rasmussen, sta lavorando con la Nato a uno scudo antimissile rivolto contro tutti coloro che attaccheranno un altro Paese minacciando la pace. L’Iran, dal canto suo, marcia imperterrito verso il suo scopo, ma avverte l’isolamento internazionale. Al momento solo la Cina non gli è ostile, ma è difficile dire fino a che punto lo sosterrà, anche perché c’è chi dice che la crisi tra gli Usa e la Cina in seguito alla visita del Dalai Lama alla Casa Bianca sia in realtà una polemica di facciata.Il 18, come annunciato, Obama e il Dalai Lama si sono incontrati, suscitando l’ira di Pechino che aveva ufficialmente invitato Obama ad “annullare l’incontro”. Per la Cina il Dalai Lama è un “monaco mestatore” che dice di volere l’autonomia e non la separazione e invece mirerebbe proprio a quest’ultima. Obama ha fatto di tutto per svuotare di contenuto politico l’incontro (facendo entrare l’ospite da un’entrata secondaria, accogliendolo non nella sala ovale, dicendo che era un incontro tra due Premi Nobel), ma non è servito a calmare la Cina. Obama ha detto al Dalai Lama che “gli Usa appoggiano i diritti umani in Tibet e la Cina ha parlato di “norme internazionale violate”.
Però gli esperti di politica internazionale dicono che si tratta di polemiche di facciata perché nello stesso giorno in cui si riunivano i due Premi Nobel a Washington, la portaerei Nimitz attraccava senza nessun problema al porto di Hong Kong, cosa che non sarebbe stata possibile se i contrasti fossero seri. Dunque, l’Iran non è certo nemmeno di poter contare sulla Cina. Ma gli Usa hanno rilanciato l’iniziativa anche in Afghanistan, dove è stata messa a ferro e fuoco una roccaforte talebana con l’uccisione del braccio destro del mullah Omar e di altri terroristi.
Malgrado siano stati uccisi per errore anche un certo numero di civili, l’offensiva militare va avanti con molte aspettative, come pure vanno avanti altri tipi di offensive: quella che prevede l’aiuto alla popolazione che si distacca dal terrorismo e la guerra mediatica ad Al Qaeda.
Non si sa se corrisponde alla verità o se è soltanto una mossa per creare scompiglio tra i terroristi di Al Qaeda, ma sta circolando la notizia secondo cui l’organizzazione terrorista sarebbe sull’orlo della bancarotta finanziaria. È possibile che ci sia del vero, perché il flusso dei finanziamenti si è ridotto sia per i controlli, sia perché l’organizzazione stessa si è frammentata in tante piccole realtà locali con difficoltà di collegamento. Forse chi parlava di una presidenza Obama avviatasi all’eclisse dopo una partenza strepitosa non ha fatto i conti con l’oste.