Margot Woelk, 95 anni, svela ad un giornale i ricordi che aveva taciuto perfino a suo marito Karl
Ha aspettato per settant’anni la buona occasione, che le si è presentata sulla soglia dei suoi 95 anni, ma alla fine ce l’ha fatta a togliersi un po’ di sassolini dalla scarpa. Margot Woelk esordisce così con la giornalista che era andata a trovarla per cercare di raccogliere i suoi ricordi: “Volevo raccontare che cosa succedeva in quell’orribile posto, con quell’uomo ripugnante”. Una pausa e poi la dice tutto d’un fiato quell’espressione che aveva rimuginato in cuor suo per settanta lunghi anni: “Quel porco”. Il “porco” sta al posto di Hitler. Lei non l’ha mai visto di persona, non l’ha mai sentito parlare, se non nei comizi, come tutti, però, in un certo senso la vita di Hitler era strettamente legata alla sua. Si potrebbe dire “vita sua, vita mea”.
Margot Woelk non è mai stata iscritta alla gioventù hitleriana, suo marito era al fronte, tornò solo nel 1946, con la pelle intatta, e nemmeno a lui ha mai raccontato nulla. Karl ritornò in patria nel 1946 ed è morto nel 1986: in questi quarant’anni mai una parola, forse perché non voleva fargli sapere cosa le era successo, o forse, chissà, per la buona pace in famiglia. Era successo che nel 1942 Berlino cominciò ad essere bombardata, le case e i palazzi non erano più sicuri, e lei ventiquattrenne e sposata con un soldato al fronte, pensò di rifugiarsi a Gross-Partsch, il paesino in cui viveva sua suocera (oggi il paesino ha cambiato nome, si chiama Parcz ed è in Polonia). Nelle vicinanze, però, ad appena tre chilometri, c’era la Wolfsschanze, i bunker nascosti di Hitler tra la foresta e le paludi, disseminate di mine. Hitler ci andava per periodi. Allora si era diffusa la voce secondo cui gli alleati volevano avvelenarlo. Fu così che il sindaco del paesino la scelse come una delle 15 assaggiatrici dei pasti del Führer.
A quei tempi i supermercati non erano certi stracolmi di generi alimentari, ragion per cui Margot Woelk ne trasse due vantaggi: il primo era che mangiava, il secondo che mangiava bene. E’ vero, Hitler era vegetariano, niente carne, né pesce, in compenso le tavole erano imbandite di piatti prelibati, dagli asparagi bianchi con patate lesse e burro fuso ai peperoni rossi con riso, dall’insalata di mele e cavolo rosso alla zuppa di piselli, dallo strudel di mele alla macedonia di frutta esotica. C’era però un inconveniente non proprio trascurabile: ad ogni boccone ingoiato poteva restarci secca. Tutto quel ben di Dio, infatti, era un assaggio di quel che avrebbe mangiato un’ora dopo il Führer in persona e la sua amante Eva Braun. Se le assaggiatrici non morivano dopo un’ora, quelle pietanze venivano portate sul tavolo di Hitler, se morivano, pace all’anima loro. Mangiavano, dunque, sì, ma con il terrore in corpo. Margot Woelk pregava ogni volta che nessuno avesse tentato di avvelenare Hitler, perché altrimenti la prima a tirare le cuoia sarebbe stata lei.
Hitler, come si sa, fu al centro di un attentato il 20 luglio del 1944 ma chi lo organizzò scelse non la via del veleno, ma quello della bomba, che dilaniò tre uomini che stavano con Hitler, ma non lui. Quando si dice la fortuna.
Ecco il racconto di Margot Woelk: “Noi eravamo fuori, sedute su una panca, quando abbiamo sentito un fortissimo “bang” e lo spostamento dell’aria ci ha fatto cadere. Qualcuno urlava “Hitler è morto”, ma non era vero”. Dopo l’attentato, le assaggiatrici furono trasferite in una scuola vicina ai bunker e furono raddoppiate le misure di sicurezza, per cui le 15 donne vivevano “come animali in gabbia”, secondo l’espressione di Margot, che restò al “servizio” di Hitler fino all’autunno di quello stesso anno. Si può immaginare la sua gioia quando ritornò a casa della suocera, dover rimase ancora pochi mesi, fino a quando l’Armata Rossa non fu a pochi chilometri.
Fu un ufficiale tedesco a spingerla a scappare, mettendola su un treno per Berlino. Margot Woelk fu l’unica delle 15 assaggiatrici dei pasti di Hitler a salvarsi, le altre furono tutte uccise dai soldati dell’Armata Rossa.