Gli italiani – è ormai una tradizione nota e collaudata – in fatto di polemiche, di insulti e anche di superficialità, sanno sempre dare il meglio di sé, anche perché i polemisti di professione in genere non hanno altra scelta per mascherare il vuoto di idee che li contraddistingue. Prendiamo le polemiche sulla festa della Repubblica e sulla parata militare. Cogliendo l’occasione del sisma, delle difficoltà e delle sofferenze delle popolazioni dell’Emilia Romagna, vari personaggi e leader politici hanno chiesto la soppressione delle celebrazioni del 2 giugno, in modo particolare della parata delle forze armate.
Una proposta presentata nelle dovute maniere è sempre legittima, polemizzare, invece, sulla “sagra dello spreco”, a celebrazioni annunciate ed avvenute in tono minore proprio per rispetto delle popolazioni duramente colpite, è segno opportunismo, di furbizia e di meschina demagogia, e bene ha fatto il presidente della Repubblica a rispondere che chi ha espresso quel giudizio “non sa di che parla”. La soluzione adottata dal capo dello Stato soddisfa e salvaguarda due esigenze fondamentali: ha rispettato chi è stato colpito dalla tragedia, affrontata dalle istituzioni dello Stato con le decisioni e i mezzi appropriati e comunque definiti in altre sedi opportune, e, nello stesso tempo, ha riaffermato con le celebrazioni tipiche di questa giornata il significato dell’unità della Nazione, di cui tra l’altro l’Italia ha un estremo bisogno, e il senso di appartenenza, di cui il popolo italiano ha estremo bisogno. La parata militare in sé è poca cosa, ma il significato simbolico che rappresenta è cosa seria, specialmente in un Paese la cui storia è stata contraddittoria. Se in Italia negli ultimi settant’anni ha fatto difetto il senso dello Stato e non si è affermata una concezione davvero laica dello Stato – quella in cui molti patrioti e liberali risorgimentali credevano e che sicuramente era di casa nel Regno del Piemonte e di Sardegna pre e post risorgimentale almeno per alcuni decenni – è perché da una parte abbiamo avuto la Democrazia Cristiana, un partito che per altri aspetti ha avuto grandi meriti, ma che al posto di costruire uno Stato davvero laico ha guardato di più ad Occidente (Usa) per gli aiuti economici e soprattutto al Vaticano (per l’ispirazione formale dei valori), dall’altra abbiamo avuto un forte partito comunista che più che allo Stato italiano ha pensato per decenni a quello sovietico.
In occasione di eventi sportivi, allorquando si sono verificati incidenti mortali, a parte eccezioni negli ultimi anni, in genere non sono state bloccate le gare o per interessi economici, o per audience o per esigenze sportive. Insomma, il rispetto per il dolore dei familiari e per la morte di un atleta ha ceduto il passo ad interessi di altro genere, e non sembra che siano intervenuti in tanti per condannare la vicenda, forse perché lo sport è seguito dal pubblico e non ci si è voluto alienare le eventuali simpatie dei tifosi che sono anche elettori, uniti più nello sport che nell’identità nazionale. Eppure si trattava solo di gare sportive. Invocare la bandiera degli sprechi – o presunti tali – su questioni di capitale importanza per un popolo intero significa solo considerare la questione di second’ordine, un fatto accidentale o di spettacolo. D’altra parte, solo in Italia – e anche per i motivi citati – è potuto accadere che nel 1977 la festa nazionale sia stata soppressa, quasi a considerare la nascita della Repubblica un evento marginale, ripristinata solo con una legge del novembre del 2000 voluta da Carlo Azeglio Ciampi. Napolitano ha ragione da vendere: chi ha parlato di “sagra dello spreco” “non sa di che parla”.
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