Aspettando un partito che lo possa contenere, ospitare e organizzare, il popolo di Fini ha risposto alla chiamata del capo. Ad ascoltare il discorso del presidente della Camera erano alcune migliaia a Mirabello, paesino agricolo a dieci chilometri da Ferrara, diventato per un giorno il centro della politica italiana.
Qualcuno dice diecimila, ma è difficile fare una stima precisa perché così tanta gente da quelle parti non si era davvero mai vista. Fin dalla mattina a Mirabello sono arrivati pullman e auto private da molte parti d’Italia: dalla Sicilia è stato organizzato anche un volo charter, con navette che hanno trasferito i passeggeri dall’aeroporto di Bologna.
Mirabello è un luogo storico della destra italiana e Vittorio Lodi, lo storico organizzatore della festa, non ha saputo trattenere le lacrime quando, ricordando dal palco Giorgio Almirante, ha visto davanti a sé molte facce nuove, tanti giovani pronti a dar vita ad una nuova forza politica.
Qualcuno, presente in piazza, ha pensato di ritirar fuori le bandiere di Alleanza Nazionale, forse, secondo qualcuno, troppo frettolosamente messe in cantina. Ma anche tanti striscioni che rimettono i puntini sulle ‘i’ nel quadro di valori finiano: “All’eroe Mangano – si legge su una bandiera tricolore – preferisco Saviano”. In molti non sono riusciti a entrare nella piazza gremita e hanno assistito al discorso nella piazza adiacente su un maxischermo.
Nel parterre tutti i dirigenti di Futuro e Libertà, da Bocchino a Granata, da Tremaglia a Briguglio. Se nel suo discorso di quasi novanta minuti punteggiato da applausi costanti, Gianfranco Fini ha delineato un quadro tattico e ideale di quel partito a cui non ha mai accennato, ma a cui quasi ognuno dei presenti alla festa sta pensando, il suo popolo ha provato a riempirsi di contenuti, con le foto di Giorgio Almirante che camminano a fianco delle rivendicazioni dei diritti civili di ‘Gaylib’.
Ma – come Fini ha detto dal palco – Futuro e libertà deve essere proiettato nel presente e, soprattutto, nel futuro. A Mirabello è comparso anche uno degli oggetti simbolo del 2010, la vuvuzela, la trombetta da stadio diventata celeberrima durante i mondiali del Sudafrica e il cui suono ha salutato, come un gol, molti dei passaggi più apprezzati dell’intervento di Fini.
Tutto bello, compresa la colonna sonora: Futuro e Libertà ha scelto ‘Uno in più’ di Battisti, quasi un manifesto politico. E Gianfranco Fini lancia l’Opa sul centrodestra tracciando la nuova rotta del suo gruppo, Futuro e Libertà.
“Il Pdl – dice – non c’è più, appartiene ad una bella e affascinante ipotesi politica che non si è realizzata, è solo una Forza Italia allargata con qualche colonnello e capitano di An che ha solo cambiato generale ed è pronto a cambiarlo ancora”.
Dal fortino di Mirabello, dove per anni Giorgio Almirante ha galvanizzato una destra nera asserragliata nella rossa Emilia, il presidente della Camera spara palle di fuoco contro Silvio Berlusconi. E rilancia: “Siccome è contro natura, contro la fisica, che Futuro e Libertà rientri in ciò che non c’è più, si va avanti con le nostre idee”.
Fini candida ‘Futuro e Libertà’ – e poco conta chiamarlo partito o in altro modo – ad occupare uno spazio vuoto, a realizzare quello che il Partito delle Libertà non ha saputo compiere, tradendo le attese per cui era nato.
“Futuro e Libertà non è An in sedicesimo ma lo spirito autentico del Pdl”, di quel partito che “non c’è più dal 29 luglio quando, con un gesto profondamente lesivo non della mia persona ma delle ragioni stesse del partito che non può essere della Libertà se si caccia chi dissente”, in due ore soltanto l’ufficio politico e Silvio Berlusconi hanno dichiarato Fini “incompatibile” e lo hanno cacciato.
“Si va avanti – sprona – con le nostre idee e senza farci intimidire dai ‘metodi Boffo’, per far rinascere il Pdl e non per tradirne l’origine, per evitare che il governo commetta errori e perché la legislatura arrivi alla fine, senza cambi di campo, ribaltoni o ribaltini: se lo tolgano dalla testa”.
“Non ci ritiriamo né in convento né tantomeno andiamo raminghi in attesa di perdono – respinge al mittente le ultime offerte del Cavaliere – perché Berlusconi, che è uomo di spirito, deve capire che i nostri parlamentari non possono essere trattati come clienti della Standa, che se non cambiano supermercato hanno il premio fedeltà”.
Quando si tratterà in Parlamento di votare i cinque punti di programma sui quali Berlusconi chiede la fiducia “i nostri capigruppo diranno sì a nome di tutti, senza distinzioni tra falchi e colombe, perché non siamo appassionati di ornitologia”.
Si chiede però di discutere “con spirito costruttivo”, e di farlo ogni volta “con un nuovo patto di legislatura e non un tavolo a due gambe e con l’acquiescenza del Pdl alla Lega”.
Da oggi ci sono “la Lega, Forza Italia allargata” e “Futuro e Libertà”, chiamatelo partito o come volete.
Con questo spirito Fini chiede di “lavorare per unire e non dividere, dando vita ad una politica di qualità, senza insulti, che sappia accogliere anche le politiche dell’opposizione, quando ha buone idee”. Avanti “con il coraggio di fare quelle riforme che erano nel progetto originario del Pdl, nell’interesse nazionale”. “È avventurismo politico minacciare ogni giorno elezioni” dice ancora Fini rivolto al Cavaliere, convitato di pietra.
“La fine della legislatura sarebbe un fallimento di tutti: mio, suo, perché quando si ha una maggioranza così ampia il primo dovere è governare, non liquidare il dissenso e mettere alla porta chi non ti è simpatico”.
La colpa non è mia, torna a dire Fini “non c’è stato alcuna fuoriuscita, scissione, atteggiamento demolitorio” ma solo legittima difesa per l’espulsione dal partito creato “con un atto illiberale, perché solo nel peggiore stalinismo si può essere messi alla porta perché si dissente”.
“Governare – dice invece – significa comprendere le ragioni degli altri e garantire l’equilibrio tra poteri. Non ho mai contestato la sua leadership, ma un leader deve essere capace di cercare il compromesso e il punto di intesa”.
Il Pdl, quello dal quale Fini non si sente escluso e alla cui leadership anzi si candida “non può essere derubricato a contorno del leader, a coro di plaudenti”. Deve essere invece “fucina di idee”.
E il presidente della Camera offre le sue: un federalismo equo che non intacchi l’unità del Paese, una legge elettorale dove si scelga il premier ma anche i parlamentari (“Faccio mea culpa perché ho contribuito anch’io, ma è vergognosa la lista bloccata”), una riforma della giustizia “dove si rovesci l’approccio, il premier abbia uno scudo che tuteli la sua funzione e il ruolo” senza amnistie generalizzate. E ancora: immigrazione, giovani, riforma del fisco (con un’apertura al quoziente familiare), provvedimenti anti-corruzione.
Infine, fuori i sassolini dalle scarpe, mentre in platea Elisabetta Tulliani stringe le labbra e guarda dritto in faccia Fini, sulla campagna di “calunnie, diffamazioni, volgarità che hanno dato vita alla lapidazione di tipo islamico, con un atteggiamento infame perché diretto non alla mia persona ma alla mia famiglia, ed è tipico degli infami farlo”.
Salito sul palco emozionatissimo (“mai nella mia vita ho provato un’emozione così grande”, ha detto), quando è sceso, dopo 90 minuti circa di intervento durante i quali ha citato Almirante ed Ezra Pound e provato ad immaginare un futuro da leader di un centrodestra diverso, era stravolto, con le mani che tremavano e l’emozione che lo stava per vincere: dalle immagini tv è sembrato, per un attimo, che lo stesse per cogliere un malore, ma poi ha continuato con passo spedito e volto sorridente a camminare in mezzo ai suoi che continuavano ad osannarlo.
E consapevole, soprattutto, di aver fatto di Mirabello, ancora una volta, il luogo di svolta della storia della destra italiana.
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