L’ultimo lavoro di Sorrentino è stato amato e apprezzato da molti. Paragonato anche al capolavoro Felliliano de La dolce vita ha ricevuto numerose nomination per i maggior premi del panorama cinematografico. Dal 24 luglio nelle sale svizzere. In attesa di vederlo, leggiamo cosa ne hanno detto
Se ne è tanto parlato negli ultimi tempi, l’ultimo film di Sorrentino è in concorso per i maggiori premi del panorama cinematografico (9 nomination per i Nastri d’argento, 4 per i Globo d’Oro e 1 al Festival di Cannes) e chi lo ha visto ha espresso pareri discordanti. Ha sorpreso, ha estasiato, a volte stancato però non ha mai lasciato indifferenti. Vediamo di cosa tratta questo film.
Sorrentino, noto al grande pubblico soprattutto per il film su Giulio Andreotti, Il Divo, con cui, servendosi della meravigliosa e istrionica interpretazione di Toni Servillo, ci ha dato un ritratto freddo e preciso di uno dei protagonisti della storia politica italiana dei nostri tempi, questa volta guarda invece che al singolo all’insieme e ci regala il dipinto di un sistema vacuo e troppo imbrigliato nelle frivolezze della vita per comprenderne a pieno il valore. Anche questa volta Sorrentino si avvale delle prestazioni del bravissimo Toni Servillo che ritroviamo a vestire i panni di uno scrittore e giornalista navigato, dal fascino innegabile, impegnato a districarsi tra gli eventi mondani di una Roma dalla bellezza altrettanto stupefacente. Jep Gambardella, è questo il nome del protagonista, è autore di un solo libro, L’apparato umano, ed è un giornalista di costume e critico teatrale.
Non ha più scritto libri – nonostante la sua prima ed unica opera fosse stata apprezzata – per la sua pigrizia e per la sua voglia di dedicarsi alla mondanità. È come imprigionato nella mondanità da cui sembra voler trarne ispirazione per la sua vena creativa, ma che invece finisce per avvolgerlo e imprigionarlo in un blocco. Quando compie 65 anni avviene una svolta nella sua vita, le feste grottesche a cui puntualmente partecipa non lo soddisfano più e diventa sempre più malinconico. Una sera, tornando da uno di quegli insipidi salotti, incontra il marito della sua prima fidanzata che lo attende davanti alla porta di casa. Sua moglie è morta, lasciandosi dietro solo un diario dove narra dell’amore, mai perduto, verso Jep, di cui il marito è stato semplice surrogato per 35 anni, nient’altro che “un buon compagno”.
Da questo momento Roma diventa teatro onirico di siparietti, vignette, presagi e incontri casuali. Da cardinali che si intendono di cucina a spogliarelliste dai segreti oscuri. La morte che colpisce sempre più vicino. E Jep cammina, riflette, rivive in una Roma notturna fatta di palazzi misteriosi e feste trash. Alla ricerca di una bellezza essenziale che solo una santa vivente, venuta da un mondo troppo distante dal suo, è in grado di ricordargli. Con il personaggio di Gambardella, Sorrentino descrive una figura complessa, nostalgica, di un’intelligenza viva e fluida che esprime con pareri affilati e parole taglienti. Attorno a lui c’è Roma in tutta la sua grandezza fatta dei suoi fasti e delle sue meraviglie. “Sono stato a Roma da ragazzo a lavorare e poi mi ci sono trasferito. E nel corso degli anni ho raccolto suggestioni e aneddoti che la riguardavano. Quando è stata partorita l’idea del personaggio di Toni, abbiamo poi pensato di fare un film anche su questa città con il protagonista come testimone”, ha spiegato il regista. Gambardella frequenta ogni notte un siparietto confuso e statico di amici intimi e compagni di sventure, tra cui Romano, scrittore teatrale mai realizzato e perennemente al guinzaglio di una giovane donna che lo sfrutta, Lello, venditore di giocattoli dalla parlantina sciolta e marito infedele di Trumeau, Viola, ricca borghese con un figlio pazzo, Stefania, scrittrice radical chic e Dadina, la caporedattrice nana del giornale in cui scrive Jep. Hanno spesso paragonato la Roma descritta ne La grande bellezza di Sorrentino con la Roma Felliliana de La dolce vita, ma, spiega Sorrentino, che mentre “Fellini diceva che Roma se l’era inventata e non c’era corrispondenza tra la città del film e quella vera. In La grande bellezza esiste un’interiorizzazione e la lezione di Fellini resta per tutti. C’è un’assonanza su dei temi ma non esistono altre ragioni di somiglianza. Quello lì era un capolavoro, questo è un film”.