… e tutto ad un tratto lo ricordiamo. Di essere italiani. Di ritrovarci a celebrare eventi che appartengono alla memoria nazionale. Nostra, e non solo nostra. Di scoprire che oggi come in passato la italianità è un sentimento che supera le frontiere ed unisce genti. È accaduto a Lugano, terra italiana di Svizzera, il fine settimana appena trascorso. Il Consolato italiano, ora rappresentato dal Ministro Mauro Massoni, ha invitato i nostri connazionali a commemorare i caduti della “Grande Guerra”. La prima. Mondiale. Quella di cento anni fa. Che vide l’Italia vittoriosa. Ma che portò il Regno di Italia, a neppure cinquant’anni dalla unità nazionale raggiunta nel 1870 con l’annessione di Roma e dell’odierna regione del Lazio, a comprendere che a guadagnare la pace sono gli ideali, oltre che gli uomini.
L’Italia unita, allor giovane, infatti fece appello anche a coloro che, pur residenti in terra di Svizzera, condividevano il nostro amor di patria. Dal Cantone Ticino partirono in settecentocinquanta. Tutti volontari. Svizzeri per l’anagrafe. Ma italiani “dentro”. Molti di loro, oltre la metà, non hanno più fatto ritorno alla loro terra. Il loro destino si è unito a quello dei seicentomila caduti italiani nella prima guerra mondiale, la cui vittoria il 4 novembre di ogni anno la nostra Repubblica ricorda anche per la annessione delle città di Trento, Trieste e dell’attuale territorio regionale del Friuli Venezia-Giulia. Ma gli italiani di Svizzera non furono i soli a soccorrere le truppe in difesa della patria.
Per ribaltare le sorti di un conflitto ancora tutto da vincere, il governo di Roma infatti chiamò alle armi anche i “ragazzi del 99”. I giovanissimi che nel 1917 avevano appena raggiunto la maggiore età di diciotto anni. Il resto è storia. Storia patria. L’Italia vinse la guerra. Ma segnò una generazione. Quella stessa che, terminato il primo conflitto mondiale, deciderà il destino politico del paese per il successivo ventennio. Ma che poi si troverà sconfitta con la Seconda Guerra. Quindi: si farà promotrice della Comunità Europea. Infine, sarà contestata e consegnata alla storia dalla rivoluzione del Sessantotto.
Questi, forse, i pensieri del centinaio di presenti che domenica scorsa a Lugano hanno assistito ad una funzione religiosa. Che poi hanno presenziato al discorso del Console Massoni in memoria dei nostri caduti. Che si sono intrattenuti con i rappresentati delle numerose associazioni militari italiane presenti, prima fra tutte la Associazione Nazionale Carabinieri Sezione di Lugano. Che hanno ringraziato anche i vertici della polizia luganese ed il Comandante Roberto Torrente per avere reso omaggio alla cerimonia. Ma, permettetecelo: giornata di personali emozioni anche per chi vi scrive. Nipote di un “ardito”, come durante la Prima Guerra furono chiamati i diciottenni mandati al fronte, impegnati nei combattimenti più rischiosi e decisivi per vittoria. Ascoltando i discorsi delle autorità ho guardato in alto. E ho condiviso l’azzurro luganese di “quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace” come scrive Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Proprio l’autunno di questo luminoso ottobre di Ticino, in una Europa senza frontiere e di guerre oggi solo rievocate, mi ha portato a immaginare il futuro che vive la generazione presente ed attende le prossime a venire. E ho desiderato che si conservi per sempre l’azzurro di questo cielo. Dove le memorie del nostro passato continuano a trovare armonia, concordia e pace.
Andrea De Grandi