È un Gran Tour, un viaggio istruttivo, puntuale e documentato quello suggeritoci da “La leggenda di Elena Ferrante”, edito da Garzanti.
L’autrice, Annamaria Guadagni, giornalista culturale, saggista e collaboratrice del quotidiano italiano Il Foglio, porta il lettore a rivivere personaggi, ambienti e luoghi che animano un universo particolare, un “recinto dove la vita e le stagioni scorrono quiete, mentre si discute di libri e si tolgono le foglie secche delle piante sul terrazzo”.
Al centro del narrato della Guadagni troviamo la produzione letteraria di una scrittrice che nel 2016 il settimanale americano Time ha incluso tra le cento persone più influenti al mondo: Elena Ferrante, a tre decenni dal debutto ancora di misteriosa identità, ma di riconosciuto successo editoriale.
Nel suo volume Annamaria Guadagni rivive le atmosfere che animano gli scritti della enigmatica collega e, per cominciare, ne suggerisce una originalissima interpretazione comparata con le opere di Louise May Alcott, autrice di capolavori sulla condizione femminile nella società ottocentesca, periodo “edificante” ma cristallizzato in “rigidi stereotipi” di genere.
Ed ecco che, ricorda la Guadagni, se gli scritti della Alcott sono un “esempio strepitoso di commistione artefatta
tra vita e testo”, oggi nei lavori della Ferrante invece “troviamo lo stesso giudizio… ma reso più feroce dal distacco da ogni rappresentazione ottocentesca; siamo nella Napoli popolare che aspira al benessere e vuole uscire dalla miseria”, dove “per una ragazza, sposarsi è ancora la via maestra per trovare un posto nel mondo.”
Tuttavia, osserva la Guadagni, “se nell’Ottocento la durezza della vita è illuminata da un profondo senso etico” gli scritti della Ferrante ricalcano una contemporaneità dove “la miseria è corruttiva, umiliante, non rende capaci di sacrificarsi per gli altri; l’invidia sociale è un demone aggressivo e cercare una rivalsa è una necessità sociale”.
Questo, annota la Guadagni, è il microcosmo descritto da Elena Ferrante con una prosa che “ha conquistato l’alfabeto, che ha imparato a verbalizzare e controllare la fonte della sua capacità espressiva, l’origine plebea”.
Muovendo da questa sintesi, il narrato della Guadagni si eleva verso una originalissima anabasi, ascende ad una lucida coincidenza che ispira anche le opere di Elena Ferrante per dare infine voce a tutte le “ragazze … attraversate da un sogno di libertà e pronte a combattere per prendersela; nessuna avrebbe potuto valutare in anticipo i costi personali di quella avventura, però si poteva fare, era giusto”, seppur concedendo, al medesimo tempo, che “nessun parallelo è possibile tra vita e romanzo” dove “tutto fa parte della finzione”.
Ne “La leggenda di Elena Ferrante” scopriamo anche bozzetti, veloci ritratti di atmosfere magiche; come ad esempio la vita negli Anni Quaranta sull’isola di Ischia, “un porto raccolto, un giardino galleggiante, un mondo separatamente felice, un retropalco della storia. Subito dopo la fine della guerra era stata persino il rifugio della famiglia Mussolini: vivevano poveramente, spiati dai fotografi. Dei Mussolini a Ischia è rimasto un ritratto di Truman Capote, che visse qui traendone un reportage dove l’isola è ancora senza luce elettrica, e gli umani sono primitivi che si muovono con innata grazia o furfantesca furbizia. Alla famiglia del dittatore Capote guarda con distaccata pietà”.
La prosa di Annamaria Guadagni è una continua emozione che siamo invitati a condividere e poi meditare, ad occhi chiusi; per tornare infine alla realtà, scoprendoci partecipi di un affasciante e dunque rinnovato, acquisito, incantesimo narrativo.
È la dimensione di un reale disincantato nelle sue dinamiche, misteriose quanto parallelo alla realtà di fatti, società e vita.
Così come altrettanto misteriose ma reali sono le vicende e l’identità dell’autrice, Elena Ferrante, ispiratrice del volume di Garzanti, e che Annamaria Guadagni è riuscita ad elaborare felicemente, proponendo una rilettura che ad ogni pagina ci accorgiamo desiderare non avere mai fine.
di Andrea Grandi