Abbiamo già avuto modo di dire che le violenze e le devastazioni contro le ambasciate Usa nel mondo islamico più che dalle provocazioni di un film carbonaro sono nate e sono divampate perché in molti Paesi dove prima i partiti islamisti erano tenuti a bada dal dittatore più o meno laico di turno o comunque religiosamente parlano non fanatico, ora si sentono padroni del campo, in questo fomentati da gruppi numerosi e diffusi di fondamentalisti.
Stentiamo a credere che sotto Gheddafi i fondamentalisti avrebbero fatto ciò che è avvenuto a Bengasi. O meglio: lo avrebbero fatto solo se a volerlo era anche Gheddafi. Lo stesso si può dire dell’Egitto, Paese con oltre 80 milioni di abitanti. La reazione di Mubarack non sarebbe stata così fiacca da accendere le fiamme della protesta di piazza chiaramente indirizzata contro l’Occidente e in particolare gli Usa. Una riprova? In Siria non ci sono state manifestazioni di protesta di quella dimensione e di quella gravità. Si dirà che lì c’è la guerra civile, ed è vero, ma non cambia la sostanza del discorso. Le Primavere arabe sono state, checché se ne dica, l’alibi per la conquista del potere da parte degli islamisti, i quali, ora, possono opporsi con più forza all’Occidente e ai suoi simboli di libertà e di democrazia, giudicati segni di corruzione dal mondo musulmano per il quale non c’è divisione tra insegnamenti religiosi e leggi civili, ma queste e quelle sono la stessa cosa.
In questo clima surriscaldato ha suscitato clamore e sdegno la sfida lanciata dal giornale satirico francese Charlie Hebdo, che, malgrado le minacce e una rinnovata esplosione di rabbia e di violenza con feriti e morti nelle piazze di quasi tutti i Paesi musulmani, non ha guardato in faccia a nessuno ed ha pubblicato vignette satiriche nei confronti di Maometto. Sdegno, ma anche coraggio. Sdegno, perché un giornale, protetto dalle forze dell’ordine a Parigi, pubblicando vignette contro Maometto, non fa altro che fomentare rabbia e violenza che poi vengono sfogate contro turisti, cristiani e gente che ha credenze religiose diverse. Coraggio, perché il ragionamento del direttore di Charlie Hebdo non fa una grinza: se io cedo alle minacce dei musulmani, vuol dire che in Francia (o altrove, in Occidente) a comandare sono chi urla e minaccia di più e non le leggi del Paese, che garantiscono la libertà di espressione e di critica, la cui trasgressione offensiva è e deve essere solo materia di tribunale, cioè di giustizia, non di prepotenza. Certo, la libertà, non bisogna mai dimenticarlo, va di pari passo con la responsabilità. Bisognerebbe stare attenti a non deridere e a non offendere le opinioni o le credenze altrui. Resta il fatto che Stéphane Charbonnier, direttore di Charlie Hebdo, con coraggio ha gridato alto e forte: “Hollande difenda lo Stato laico” e resta il fatto che Hollande ha risposto altrettanto alto e forte vietando le manifestazioni non autorizzate della protesta islamica.
Quanta distanza dall’Italia, dove spesso, troppo spesso, i nostri vignettisti e scrittori satirici offendono i simboli cristiani, tanto non rischiano nulla, e sono straordinariamente accondiscendenti e solidali, in nome del politicamente corretto e della paura, nei confronti di chi, se ritiene di essere stato offeso, ricorre alle minacce di morte e le mette in pratica! Mentre in Francia la laicità dello Stato vale sempre, in Italia vale a corrente alternata, cioè in base alle convenienze. Quella di Stéphane Charbonnier e di François Hollande è decisamente una bella lezione.