Messaggio di pace del Papa a Gerusalemme
L’Italia lavora al disgelo tra Libia, Usa e Israele
Tre sono i fatti importanti della settimana sulla scena in¬ternazionale: la visita del Papa a Gerusalemme, la liberazione della giornalista irano-ameri¬cana Roxana Saberi e la noti¬zia apparsa su vari quotidiani secondo cui l’Italia si muo¬verebbe, d’accordo con gli Usa, per avvicinare la Libia e Israele. Una notizia che se fos¬se accompagnata da risultati sarebbe l’evento di questi anni come lo fu quello dell’Egitto di Sadat.
La visita del Papa in Terra Santa, durata una settimana, è certamente il pellegrinaggio del capo della cattolicità nei luoghi dove visse Gesù due millenni fa, ma è evidente che il pellegrinaggio non è l’unico scopo. L’altro significato è di favorire il dialogo e la pace in quella regione che è la culla delle tre grandi religioni mo¬noteiste, che dovrebbe essere la palestra della convivenza civile ed invece è la terra degli odi e delle guerre.
È chiaro che non basta la visita né di un Papa né di altri Papi per arrivare alla pace, che probabilmente in quei luoghi per diventare tale avrà biso¬gno di vari decenni ancora (se basteranno). Però, rappresenta uno di quei granelli di sabbia che alla lunga formeranno un mattone che a sua volta ha la speranza di diventare ponte tra popoli, culture e religioni diverse.
La storia valuterà quanto grande sia il granello di sab¬bia portato da Benedetto XVI: la cronaca registra solo che non possono esserci risultati clamorosi in una situazione dove le parole sono soppesate in tutti i loro possibili risvolti, trattandosi di un ginepraio di sentimenti contrastanti, dove basta una virgola di troppo per generare anni di rivolte.
Resta, però, chiaro e for¬te il messaggio, letto dopo l’entrata scalzo nella Cupola della Roccia, sacra per i mu¬sulmani, e davanti al Muro Occidentale sacro per gli ebrei, e tratto dal salmo 122 in latino: “Domandate pace per Gerusalemme … su di te sia pace”.
La seconda notizia impor¬tante è la mossa fatta nello scacchiere che vede giocare gli Usa e l’Iran. Quest’ultimo, dopo il pressing americano su un “nuovo inizio” nei rap¬porti tra i due Stati dopo 30 anni di gelo, aveva risposto alternando il bastone e la ca¬rota, esattamente come aveva¬no fatto gli Usa minacciando “sanzioni più dure” in caso di mancanza di risultati. Dopo il bastone su Israele c’è stata la carota dello spiraglio per i due Stati (Palestina e Israele) che è un implicito riconoscimento di Israele; e dopo l’annuncio americano che agli inizi di giu¬gno ci sarà un ulteriore passo in avanti, ecco il gesto disten¬sivo dell’Iran, che ha liberato la giornalista irano-americana incarcerata e condannata pe¬santemente in primo grado per aver comprato una bottiglia di vino, per le credenziali scadu¬te e per spionaggio a favore di un Paese ostile. Il processo di secondo grado ha ridotto la condanna a due anni con la condizionale perché i difenso¬ri si sono aggrappati al cavillo giuridico del “Paese ostile”, con la motivazione che “i rap¬porti sono tesi ma non ostili”. In realtà, il cavillo ha assunto valore di discolpa solo per¬ché in questo momento l’Iran voleva dare un segnale agli Usa che, in occasione della Conferenza sull’Afghanistan, avevano posto all’Iran questo gesto di buona disponibilità a proseguire il cammino del dialogo.
In Iran la magistratura di¬pende dai servizi segreti e questi dal potere politico, a sua volta braccio secolare di quello religioso.
La liberazione di Roxana Saberi è dunque un gesto di di¬stensione verso il dialogo, ma è anche una conferma che in Iran la democrazia non esiste. Anzi, che i cittadini sono pe¬dine nelle mani dei vari pote¬ri. Tanti sono quelli – iraniani doc o anche di origine – accu¬sati pretestuosamente e tenuti in carcere con la minaccia di anni ed anni di dura prigione o di morte.
La vicenda di Roxana si è chiusa, resta quella di altri che non sono sotto i riflettori del¬la politica e degli interessi di Stato e che sarà destinata a ri¬manere nell’ombra tra minac¬ce, torture e carcere, se tutto va bene. L’ultima notizia riguar¬da invece i possibili sviluppi dei rapporti Libia-Israele che attualmente sono inesistenti. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha ricevuto dal nuovo ministro degli Esteri israelia¬no il via libera a sondare la possibilità di un miglioramen¬to dei rapporti tra Gheddafi e Israele. Lo stesso passo è stato fatto dall’ex senatore George Mitchell, incaricato da Obama di seguire la situazione in una delle zone più scottanti del mondo.
La notizia fatta trapelare dalla Farnesina di una volontà di migliorare e approfondire i rapporti da parte degli Usa e di Israele è stata subito dopo fatta circondare da una coltre di silenzio per far parlare e agire la diplomazia. I rapporti tra Libia e Italia sono buoni, dopo il trattato che ha chiuso definitivamente il contenzioso della guerra coloniale e dopo che l’Italia ha assicurato la co¬struzione di un’autostrada che collegherà l’Algeria all’Egit¬to attraversando la Libia. Se negli anni a venire ci sarà un qualche risultato, se miglio¬reranno i rapporti Usa-Iran, evidentemente si sarà messo in movimento un concorso di fattori importanti per la pace nel Mediterraneo orientale.