Ricordiamo che John Grisham, scusandoci con chi già lo conosce, è il maestro dei legal thriller, i gialli giudiziari.
Scrittore, in passato avvocato, ha ambientato un suo romanzo a Bologna, dove soggiornò a lungo, e parla un buon italiano.
Secondo le rilevazioni della American Academy of Achievement, il club dei protagonisti nei vari settori della vita sociale americana, John Grisham è scrittore da oltre trecento milioni di copie, tradotte in quarantadue lingue.
I suoi volumi comprendono trentasette romanzi, un saggio, una raccolta di racconti e sette romanzi per ragazzi, sempre editi da Mondadori e molti dei quali diventati blockbuster cinematografici di grande successo con megastars come Julia Roberts, Tom Cruise, Sandra Bullock, Gene Hackman, Donald Sutherland, Susan Sarandon.
I legal thriller di Grisham hanno il pregio di saper intercettare le problematiche della vita giudiziaria, svincolandole dagli stereotipi ed infine proporne ai lettori gli aspetti conflittuali con una prosa chiara ed avvincente dalla prima all’ultima pagina.
Prendiamo ad esempio la trama de “La lista del giudice”, la sua opera più recente.
Lacy Stoltz, investigatrice presso la commissione disciplinare della magistratura dello Stato della Florida, riceve una telefonata anonima. Una donna accusa di assassinio un giudice.
Non è che l’inizio: perché la anonima voce informa di avere prove, ma non abbastanza, di altri delitti.
L’accusato è un insospettabile magistrato, esperto di procedure legali e, come se non bastasse, di ottima reputazione fra gli stessi colleghi che lo dovrebbero indagare e, nientemeno, rinviarlo a giudizio.
Un caso non facile per la commissione disciplinare…
Ancora una osservazione: tratto identificativo degli scritti di Grisham è la sua capacità di saper condensare, in pochi ma lucidissimi paragrafi iniziali, la traccia della successiva narrazione.
Eccovi l’esordio de “La trama del giudice”.
Esaminatela e vi convincerete: il resto del volume attende solo di essere letto.
“La chiamata arrivò sul telefono fisso, attraverso una rete vecchia di almeno vent’anni che aveva resistito a tutti i progressi tecnologici.
Rispose una receptionist tatuata di nome Felicity, una ragazza nuova che se ne sarebbe andata prima di aver capito come funzionavano le linee.
Sembrava se ne andassero tutti, soprattutto gli impiegati. Il ricambio era continuo e assurdo.
Il morale basso. La Commissione disciplinare giudiziaria si era appena vista tagliare i fondi per il quarto anno di fila da un governo che sapeva a malapena della sua esistenza.
Felicity riuscì a inoltrare la telefonata alla scrivania sommersa di scartoffie di Lacy Stoltz.
«C’è una chiamata sulla linea tre» annunciò.
«Chi è?» volle sapere Lacy. «Boh. È una donna.»
Non il miglior modo di rispondere. Al momento, però, Lacy era annoiata, e non aveva intenzione di sprecare l’energia emotiva che sarebbe servita per riprendere adeguatamente la ragazza e per metterla in riga.
Le abitudini e i protocolli stavano andando a rotoli. La disciplina dell’ufficio veniva meno, in una spirale di caos senza guida.
In quanto veterana, la veterana, era importante che Lacy desse l’esempio. Ringraziò, premette il tasto con la lucina intermittente e rispose. «Lacy Stoltz.»
«Buon pomeriggio, Miss Stoltz. Ha un minuto?»
Voce femminile, educata, senza tracce di accento, sulla quarantina abbondante, diciamo quarantatré. Lacy faceva sempre il gioco delle voci.
«Con chi ho il piacere di parlare, prego?»
«Per adesso mi chiamo Margie, ma uso anche altri nomi.»
Lacy, divertita, per poco non si lasciò sfuggire una risatina.
«Be’, almeno è sincera. Di solito ci metto un po’ a districarmi tra i nomi falsi.»
Le chiamate anonime erano all’ordine del giorno.
Le persone che volevano contestare qualcosa ai giudici erano sempre guardinghe e poco convinte a farsi avanti e affrontare il sistema.
Quasi tutti temevano ripercussioni dall’alto.”
di Nicoletta Tomei