La manovra bis approvata definitivamente anche alla CameraLe procure di Bari, Perugia e Napoli all’attacco del premierA Vasto incontro Bersani-Vendola-Di Pietro
Come previsto, il decreto sulla manovra bis è stato blindato alla Camera con il voto di fiducia sullo stesso testo approvato al Senato e i cui punti essenziali sono l’aumento dell’Iva dal 20 al 21%, il contributo di solidarietà dei ricchi del 3% sulla parte oltre i 300 mila euro, il taglio del 20 e del 40% sulle paghe dei parlamentari che svolgono altre attività per la parte eccedente i 90 e i 150 mila euro, i tagli agli enti locali e ai ministeri, la stretta sull’evasione fiscale con il 100% ai Comuni delle somme recuperate, un disegno di legge costituzionale a parte per l’abolizione delle province, il contributo di solidarietà del 5 e del 10% ai dipendenti pubblici sulla parte eccedente i 90 e i 150 mila euro, l’anticipo al 2014 del percorso che porterà le donne alla parità con gli uomini per andare in pensione a 65 anni, il pareggio del bilancio in Costituzione. Insomma, una manovra lacrime e sangue per raddrizzare i conti dell’Italia. Tra la prima manovra di luglio e quella di settembre i miliardi sono circa 80, mai una manovra era stata tanto corposa. L’aspetto “crescita” era stato affrontato con altri provvedimenti come lo sblocco dei fondi Cipe per le infrastrutture. Le manovre sono state di tasse – soprattutto per i possidenti – ma soprattutto di tagli alla spesa pubblica, che vuol dire eliminazione (in parte) degli sprechi. La manovra è stata giudicata positiva dall’Europa e semmai ci sarà da farne un’altra, sarà sulle risorse da destinare alla crescita economica, ancora troppo debole, per uscire dalla crisi. All’indomani dell’approvazione della manovra, puntualmente, come un orologio svizzero, le procure di Bari, Perugia e Napoli si sono scatenate nella pubblicazione delle intercettazioni che riguardano il premier e Tarantini, il manager pugliese al centro di un presunto tentativo di estorsione ai danni del presidente del Consiglio, che afferma che le somme che gli ha versato sono state un aiuto a un amico in difficoltà. In queste intercettazioni (ben 100 mila riguardanti Berlusconi) si parla di donne, di cene, di inviti. Nulla che si riferisca a reati, ma evidentemente con un intento chiaro: quello di presentarlo sotto cattiva luce per metterlo in difficoltà politicamente agli occhi dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Questa chiave di lettura, d’altra parte, è abbastanza scoperta per una serie di motivi. Primo: in quanto parlamentare Berlusconi non può essere intercettato, ma lo si fa regolarmente senza che nessuno intervenga per porre fine a un abuso evidente della magistratura. Secondo: quando ci fu l’intercettazione del dialogo Fassino-Consorte, nella quale Fassino chiedeva conferma a Consorte se avevano una banca (la Banca Nazionale del Lavoro), questa non fu pubblicata, ma un operatore ne portò la registrazione a Paolo Berlusconi, che l’ascoltò e la fece pubblicare su Il Giornale. Il premier, in quell’occasione, si addormentò perché le procedure erano lunghe, per cui non ebbe modo né di ascoltare, né di decidere, al punto che il pm di Milano stralciò la sua posizione e ne chiese l’archiviazione. Ora, il gip lo ha rinviato a giudizio, per cui Fassino e Consorte parlavano di banche e Berlusconi finirà sotto processo. Terzo: la magistratura milanese ha intimato il ritiro dal mercato di un libro, “Falce e carrello”, scritto da Bernardo Caprotti (Esselunga), che parla dei rapporti tra amministratori locali e Coop.
Ebbene, ci sono libri offensivi nei confronti del presidente del Consiglio e nessuno ne chiede il ritiro dal mercato. La magistratura, invece, vuole bloccare un libro che racconta uno spaccato degli interessi delle Coop, tra l’altro storicamente legate da rapporti politici con Pci-Pds-Ds e ora, a quanto pare, anche Pd. Quarto: dalla procura di Bari sono state pubblicate le intercettazioni riguardanti Berlusconi-Tarantini, ma non quello che Tarantini ha detto su D’Alema e gli affari fatti con i suoi uomini. Dopo le pubblicazioni delle intercettazioni sulla stampa, le opposizioni hanno chiesto a gran voce le dimissioni del premier, che ribadisce che fin quando avrà la maggioranza “non mollerà”. Intanto a Vasto c’è stato un incontro a tre (Bersani-Vendola-Di Pietro). A parte la richiesta di dimissioni del premier, i tre leader del centrosinistra hanno ufficialmente dichiarato di voler ricostituire il vecchio Ulivo, ma la polemica di Di Pietro con Casini ha fatto emergere nel centrodestra la volontà di aprire all’Udc, con la richiesta, però, di mettere da parte la pregiudiziale avanzata dall’Udc di un passo indietro da parte del premier. Da registrare due posizioni importanti: nel centrodestra quella di Lupi che dice che l’alleanza con l’Udc sarà vincente per il centrodestra e che se ne può parlare non per l’immediato ma per il 2013, dando per scontato la durata del governo fino alla fine della legislatura. Nel centrosinistra c’è stata la posizione netta di Follini, che ha detto che se il Pd restringerà le alleanze a sinistra, allora lui potrà anche uscire dal Pd stesso. Pare di capire che se ci sarà un nuovo Ulivo, anche la parte cattolica del Pd è disponibile a guardare verso l’Udc di Casini.