La manovra bis, varata per anticipare al 2013 il pareggio di bilancio inserendolo, con un provvedimento a parte, nella Costituzione, sarà discussa in Senato il 22 ma già sono iniziati i mal di pancia, che in molti casi sono delle vere e proprie contraddizioni. Prendiamo la dichiarazione del premier, che non vorrebbe passare per l’uomo delle tasse e che, insieme ad altri leader come Calderoli, si dice “aperto” a ridiscutere in Parlamento il “contributo di solidarietà” a condizione che il ricavoprevisto venga preso non da nuovi balzelli ma da ulteriori tagli alla spesa. Ricordiamo ai lettori che il contributo di solidarietà del 5% si applica, in base al testo appena licenziato dal Consiglio dei ministri e firmato dal presidente della Repubblica, a coloro che, dipendenti pubblici o privati o dirigenti o autonomi, hanno un reddito lordo di oltre 90 mila euro solo per la parte eccedente compresa tra 90 mila e 150 mila. Il “contributo” del 10% si applica, invece, alla parte eccedente i 150 mila euro. Farebbe male Berlusconi ad avere “rimorsi”, in primo luogo perché dura solo per tre anni, in secondo luogo perché si tratta di reddito alti, sui quali la tassa- contributo non peserebbe eccessivamente. Se si dovesse eliminarla, in realtà la farebbero franca anche quei parlamentari che sommando lo stipendio da onorevoli ad altri redditi da lavoro praticamente sarebbero poco o punto toccati. Quanto agli autonomi, è venuto fuori che sono pochi quelli che dichiarano più di 90 mila euro, dunque, in realtà, il tanto sbandierato colpo al ceto medio bacino elettorale del centrodestra, di fatto è inesistente.
Resterebbe, tuttavia, la tassa dal 12,5 al 20% sulle rendite finanziarie (esclusi i titoli di Stato), che è la stessa che introdusse Prodi. Dalle notizie pubblicate, comunque, risulta che esiste anche un’altra contraddizione, questa volta in positivo, ed è che i redditi bassi e le pensioni non sono stati toccati. Semmai, in contraddizione è caduto Luca Cordero di Montezemolo, il quale spinge per inasprire le pensioni di anzianità (argomento ormai superato), dimenticando che fu proprio lui a chiedere a Prodi – e ad ottenere da lui – l’abolizione del “gradone” di Maroni, che innalzava i requisiti per le pensioni di anzianità. La contraddizione che noi speriamo non avvenga è quella che riguarda i tagli (8,5 miliardi) ai ministeri e quelli (9,5 miliardi) agli enti locali. È il vero punto forte della manovra, perché significa che ministeri e enti locali saranno costretti a gestire i soldi pubblici facendo attenzione a non sperperarli, perché altrimenti sarebbero condannati all’inattività. Inoltre, la misura comporta (o dovrebbe comportare, il condizionale è d’obbligo) l’eliminazione degli sprechi, spesso spese clientelari come le lunghe liste delle consulenze. Qui si vedrà se la manovra servirà a far cambiare rotta alla classe politica nell’uso dei soldi pubblici o no. Infine, le parti sociali hanno l’occasione di rimediare ai danni provocati dalla rigidità dell’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Nel decreto si fa riferimento ad accordi aziendali che consentono di derogare dall’articolo 18 sui licenziamenti. Ora, noi siamo a favore dei lavoratori e delle condizioni di lavoro e di retribuzione dignitose, ma è evidente che, specialmente nel pubblico impiego, le rigidità delle norme e l’eccessivo garantismo hanno portato solo ad abusi (assenze e scarsissima produttività, quando non anche sprechi) e ad una diffusa inefficienza degli uffici pubblici.
Sindacati, Confindustria e governo hanno ora l’occasione per mettere fine a decenni di rigidità e inefficienze e allineare l’Italia agli altri Paesi. Più che minacciare continuamente scioperi, come fa la Camusso, si dovrebbe pensare a ricostruire nuove regole e nuovi rapporti tra sindacati e datori di lavoro.