Come sempre, le nuove norme emanate dal Parlamento italiano, si evidenziano per la loro indecifrabile e fumosa esposizione, soggetta ad ogni sorta di interpretazione, che pone il cittadino in una situazione disagio e incapacità nell’ottemperare in modo esatto a quanto richiesto dallo Stato. Queste nuove direttive in merito la tassazione comunale sugli immobili, con l’unificazione di IMU e TASI crea qualche problema, non solo a livello economico, per i soggetti interessati, ma anche a livello interpretativo per quanto riguarda l’esatta modalità d’esecuzione.
L’art. 9-bis del d.l. n. 47 del 2014, aveva modificato la disciplina in tema di Imu per gli immobili posseduti da cittadini residenti all’estero, andando a modificare il comma 2 dell’art. 13, d.l. n. 201/2011, come convertito, prevedendo che a partire dall’anno 2015 è considerata direttamente adibita ad abitazione principale una ed una sola unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata o data in comodato d’uso”.
Tale assimilazione non è confluita nella disciplina della nuova Imu (art.1, commi 738 e segg., l. n. 160/2019) che ha abrogato pressoché integralmente l’art. 13 anzidetto.
A Livello nazionale quindi, a far data dal 1.1.2020, resterebbe solo, ma questo è frutto di una nostra interpretazione non ancora confermata da fonti ufficiali, la possibilità di vedersi applicata sull’unità immobiliare anzidetta la Tari in misura ridotta di due terzi, mentre l’IMU (oggi assommata alla TASI) andrebbe pagata per intero come se si trattasse di una seconda casa.