Abu Mazen all’Onu mette sotto i riflettori il destino di un popolo che non si rassegna né alla divisione, né alla terra di nessuno ma Israele s’irrigidisce
Il 29 novembre è una data che i Palestinesi di Abu Mazen non scorderanno mai. Dopo la bocciatura mesi fa della richiesta unilaterale del riconoscimento dello Stato Palestinese, Fatah – l’organizzazione politica moderata guidata prima da Arafat e poi da Abu Mazen – ha presentato la richiesta della Palestina quale Stato osservatore permanente e ha avuto il suo riconoscimento con 138 a favore, 9 no e 41 astenuti. Dunque, la Palestina ha ottenuto lo status di osservatore permanente, anche se non membro dell’Onu. Prima era “entità osservatrice”, come il Vaticano. Il voto era scontato, come scontati erano i favorevoli e i contrari, tra cui Israele e Usa, e anche gli astenuti, tra cui ci doveva essere, alla vigilia del voto, l’astensione dell’Italia mentre i presidenti della Repubblica e del Consiglio hanno fatto pesare la loro influenza e l’astensione si è trasformata in voto favorevole.
Ai tempi di Andreotti e di Craxi l’Italia aveva un occhio di riguardo verso i Palestinesi più che verso gli israeliani, con Berlusconi e il centrodestra i favori si erano diretti piuttosto verso Israele, ciò che ha mandato su tutte le furie Netanyhau che ha accusato la “pugnalata di uno Stato amico”. In realtà, la situazione non cambia. Dopo il riconoscimento della Palestina come osservatore permanente di uno Stato non membro tutto rimane come prima, salvo la possibilità, peraltro non sicura, di ricorrere al Tribunale internazionale dell’Aja per trascinare in giudizio un altro Stato, in questo caso Israele per crimini – veri o presunti – di guerra o di apartheid.
Perché, se non cambia nulla, Abu Mazen ha presentato la richiesta? Il fatto è che i Palestinesi sono divisi in due organizzazioni: Fatah, partito più moderato, e Hamas, partito più estremista e militare. Fatah raggruppa 2 milioni e 600 mila palestinesi che vivono in Cisgiordania, mentre Hamas, 1 milione e 700 mila, nella Striscia di Gaza, da cui nel 2005 Israele si ritirò dopo averla conquistata nel 1967 in seguito alla guerra dei Sei giorni che gli arabi (Egitto, palestinesi, Giordania) dichiararono a Israele. Che li vinse, appunto, in sei giorni. Fatah ha riconosciuto Israele e con questo ha un contenzioso di confini e di territori, mentre Hamas non riconosce Israele, anzi, lo vuole cancellare. Dunque, non c’è solo un contenzioso tra palestinesi e israeliani per il riconoscimento dello Stato della Palestina, c’è anche un conflitto che non è solo politico tra palestinesi di Fatah e di Hamas. Hamas è legato all’Iran, che lo finanzia con soldi e armi, che poi vengono usate contro Israele. E’ storia recentissima di un paio di settimane fa la crisi e poi la tregua tra Hamas e Israele, che si sente minacciato dagli arabi che vogliono annientarlo (non solo l’Iran, ma anche la Siria, il Libano, un tempo anche l’Egitto prima di Sadat, e vari Paesi arabi e musulmani del Medio Oriente (e non solo).
Israele dice, in sostanza, che sono necessari due popoli, due Stati, ma che questi due popoli e due Stati devono vivere in pace, non farsi la guerra. I palestinesi anche sono per due popoli, due Stati, ma poi, come detto, Hamas vuole cancellare Israele. Questo è uno dei grossi problemi. L’altro riguarda i confini e i territori. I palestinesi dicono, a giusta ragione, che i coloni israeliani occupano i territori (quelli in Cisgiordania occupati con la guerra dei Sei giorni del 1987) e non vogliono andarsene. Israele, dal canto suo, dice che non è possibile sradicare 500 mila coloni che vivono e lavorano lì da più di trent’anni. Altro grosso problema: Gerusalemme. Israele dice che è la capitale di Israele e non può che essere così e i palestinesi dicono la stessa cosa. La divisione attuale (Gerusalemme ovest israeliana e Gerusalemme Est palestinese) è rifiutata da israeliani e da palestinesi. Questi sono i temi della trattativa infinita che dovrebbe portare agli accordi di pace e che invece non sta portando a nulla, se non ad un conflitto che ormai dura dal 1947-48. Questioni di principio, impuntature, odi storici, in più interessi che sono di altri Paesi, interessati a che la crisi non si risolva mai: già era difficile far ripartire negoziati seri, ora che la Palestina ha preteso il riconoscimento, anche per un motivo politico per mostrare che Hamas conduce al nulla sistematico mentre Fatah sta coi piedi per terra, sarà difficile nell’immediato che ci sia un miglioramento nei rapporti e concretezza nel dialogo. Tanto più che Natanyhau ha dato il via alla costruzioni di tremila case per coloni.
Tuttavia non c’è alternativa né alla trattativa, né al dialogo tra popoli che comunque sono destinati a vivere gomito a gomito.