Andrea Bonafede, un modesto imprenditore appena sessantenne, quella mattina era dovuto uscire presto per i controlli che da un anno aveva preso a fare presso la clinica La Maddalena di Palermo. Ben avvolto dal suo cappotto cognac e col capo riparato da un semplice capello di lana perfettamente abbinato alla mise, per proteggersi dalla pioggia incessante che quella mattina aveva incredibilmente deciso di benedire le strade caotiche del capoluogo siciliano, Bonafede era pronto alle solite cure in day hospital dopo l’intervento a cui si era sottoposto un anno prima. Certo, gli anni lo avevano appesantito eccessivamente, tanto da non renderlo quasi riconoscibile da quel bel giovane che una volta per la linea invidiabile era detto Diabolik o addirittura U’siccu dai più intimi, ma non aveva perso il suo stile.
Il sedicente imprenditore Bonafede negli anni aveva fatto molti soldi, tanto che gli sarebbe tornato più semplice pesarli, invece di contarli, anzi alcune voci di quartiere suggerivano che era proprio quello che faceva, ma tutti quei soldi che forse gli avevano garantito tanti agi, non lo avevano preservato dal male, un carcinoma, costringendolo a quelle visite obbligatorie nella clinica oncologica dove ormai padroneggiava agevolmente. Bonafede, infatti, si muoveva tranquillamente negli ambienti della clinica, conosceva il personale sanitario e l’iter che doveva affrontare prima di ogni esame da sostenere. Così, in tutta calma, subito dopo il tampone sanitario per il Covid, attendeva l’esito per poter entrare quando qualcosa gli deve essere apparso insolito, tanto da spingerlo a dirigersi presso un’uscita secondaria, ma senza fortuna. “Come ti chiami?” ha chiesto l’uomo delle forze dell’ordine al paziente preso nel maldestro tentativo di fuga: “Matteo Massina Denaro”. È così che si è conclusa la parabola di ben 30 anni della latitanza dell’ultimo grande boss stragista. Le forze dell’ordine sono riuscite a prendere il terzo mandante delle stragi siciliane di Capaci e di via D’Amelio. Il boss corleonese al quale sono riconducibili gli attentati di Roma, Milano e Firenze del ’93 e che si ricorda per uno dei più efferati omicidi mafiosi, quello del tredicenne Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito di mafia, prima soffocato e poi sciolto nell’acido. Ma di omicidi ne aveva davvero tanti alle spalle il boss siciliano cresciuto tra gli insegnamenti e le benevolenze di Provenzano e soprattutto di Riina, il capo incontrastato di Cosa Nostra, che per uno strano gioco del destino, era stato arrestato 30 anni prima, il 15 gennaio per la precisione.
Oggi l’Italia, lo Stato, le vittime della criminalità, le persone per bene hanno di che gioire. È ancora lunga la strada, la lotta alla mafia non è certo finita, anzi con questo arresto si apriranno nuove possibilità, nuovi scenari e nuove strade da seguire, ma l’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro indica una svolta. Domani si indagherà sul nuovo futuro della mafia, ma oggi godiamo di questa grande soddisfazione.
Redazione La Pagina