La donna al centro dell’universo secondo Paolo Virzì che porta a Cannes due meravigliose “matte”
L’amore ci rende matti e ci fa guarire. Questo è il significato profondo dell’ultimo film di Paolo Virzì debuttato a Cannes lo scorso 14 maggio. Perché le protagoniste di “La pazza gioia”, matte lo sono davvero e lo sono diventate per amore, a causa di una persona sbagliata, di un amore sbagliato. Ma è sempre grazie all’amore, quello che magari provano l’una per l’altra, che le due donne riescono a salvarsi.
Le donne e l’essere un po’ sopra le righe sono la materia principale da cui Virzì attinge per i suoi film. Le donne irregolari, le donne poco comprese dal mondo esterno, sono quelle che hanno animato i suoi film come “La bella vita” o “La prima cosa bella”.
Adesso però si spinge più a fondo e vuole guardare dentro alle donne che soffrono, che diventano matte per i duri colpi della vita, per l’amore, ma che dall’amore risorgono.
“Non mi ero mai spinto verso le ‘matte’ vere che mi attraggono, mi ispirano, sono calamite forse perché ci capita di provare lo stesso senso di smarrimento e disperazione” spiega Virzì e per questo le protagoniste del suo ultimo lavoro cinematografico sono state create pensando proprio a questo tipo di donne, forti e deboli, disperate, sole, ma piene di amore e di speranze.
I ruoli delle protagoniste sono andati a Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, due figure e due attrici così diverse come sono completamente all’opposto i due personaggi del film, ma che allo stesso tempo riescono a creare una complicità e un legame fortissimi tanto che insieme sembrano completarsi.
Beatrice Morandini Valdirana, interpretata dalla Tedeschi, è una contessa, sopra le righe, vestita di seta e con lo champagne in mano, abituata a comandare, euforica. L’opposto di Donatella Morelli, ruolo della Ramazzotti, scura, depressa, anoressica, con il corpo pieno di tatuaggi e il pensiero ad un dolore terribile che si porta dentro.
“Le ho amate sul set, bellissime da inquadrare, una coppia comica, buffa, struggente, non mi stancavo di seguirle con la macchina da presa, si gasavano l’una con l’altra, ‘pazze’ come nella sceneggiatura” le descrive Virzì.
La storia è ambientata in un casolare nella campagna toscana dove un’equipe di medici, psicologi e assistenti sociali bada a un gruppo di donne con disturbi mentali. È qui che le due improbabili amiche si incontrano e realizzano una fuga da quel posto di dandosi alla “pazza gioia”. E lo spettatore segue questa corsa folle quasi sperando che le due non vengano mai prese, che possano trovare la felicità rincorsa e la serenità nei loro cuori.
Peccato, e per fortuna, la loro fuga rocambolesca termina proprio a Villa Biondi, dove era cominciata, in quella comunità dove però ritornano sicure del fatto che non sono più sole ma si cureranno l’una con l’altra, dandosi quell’affetto tanto cercato. “Se c’è una cura per tutti e per persone come loro ancora di più è la relazione affettiva. La terapia è l’amore e questa è la lezione che ho imparato facendo questo film”, spiega il regista.
È una storia dal sapore dolce amaro, una tragedia che si intreccia con la commedia, un continuo alternarsi di comicità e commozione che a Cannes, dove era in concorso alla Quinzaine des Realizateurs, ha ricevuto ben dieci minuti di applausi e ottime recensioni.
Sarà stato certamente anche l’interesse al tema della salute mentale affrontato con realismo, con tanto di sopralluoghi in case di cura a contatto ravvicinato con le pazienti, ma soprattutto è grazie alle due “matte” del film, Beatrice e Donatella, che con la loro tenerezza, ingenuità, euforia, imprevedibilità, riescono ad entrare nei cuori degli spettatori.