Cosa possiamo fare noi per i rifugiati e richiedenti d’asilo che vengono in Svizzera? E qual è la situazione attuale? Ecco le risposte
Signor Hruschka, qual è la situazione dei rifugiati in Svizzera?
La situazione varia molto secondo lo stato e secondo le prospettive di vita. I “rifugiati” non sono un gruppo omogeno o naturalmente legato, ma un gruppo su base di criteri legali. La situazione individuale quindi può variare molto. Generalmente si può dire che molti rifugiati vorrebbero disporre la loro vita da soli e interessarsi alla società che lo accoglie.
Osserviamo molte volte però anche tanta insicurezza e in parte paura da tutte le parti che solitamente però svaniscono dopo gli incontri.
Come ci si può impegnare per i rifugiati in Svizzera, a parte le offerte in denaro?
A parte le offerte in denaro ci sono diverse possibilità di impegnarsi. C’è ad esempio la possibilità di mettere a disposizione abitazioni o accogliere persone. L’Organizzazione svizzera di aiuti ai rifugiati OSAR organizzano questi progetti pilota nei cantoni Argovia, Berna, Ginevra e Vaud. Progetti simili sono partiti in diversi cantoni o sono in programma. C’è inoltre la possibilità di mettere a disposizione una stanza. La situazione a livello cantonale è molto diversa.
In tanti cantoni, soprattutto nei centri delle città, ci sono posti di volontariato come corsi di tedesco, preparazione ai colloqui di lavoro o programmi di mentoring, ma anche campi di vacanze o piccole sartorie. Diverse organizzazioni fanno anche da tramite tra rifugiati e volontari tramite servizi da mezzogiorno o inviti a mangiare.
In tanti posti è possibile donare vestiti o oggetti. Caritas Svizzera, ad esempio, raccoglie tessili in stato buono o scarpe per persone svantaggiate in Svizzera. Richiedenti d’asilo, rifugiati e persone con budget limitati ne approfittano. Certamente c’è la possibilità di aiuto sul posto, dove con doni in natura le organizzazioni possono essere sovraccariche. Gli enti assistenziali o iniziative private prestano aiuto immediato nelle zone di crisi o sulle rotte di fuga e cercano spesso volontari o doni in natura a parte le offerte in denaro. È importante informarsi direttamente presso le iniziative o organizzazioni se sono in cerca di doni in natura o quale altro impegno potrebbe servire.
Quale bilancio potete trarre dai progetti finora realizzati e quelli in corso?
La popolazione è molto servizievole e questo come sostegno del nostro lavoro è molto importante. Inoltre motiva molto ed è un arricchimento. Il nostri progetti, dato che come organizzazione dirigente siamo operativi solo in pochi settori, sul territorio svizzero sono indirizzati soprattutto al collegamento e alle informazioni degli attori specializzati e gli uffici di consulenza, come all’informazione della popolazione e all’accompagnamento e l’analisi di processi politici. Un lavoro molto apprezzato dagli enti assistenziali e le organizzazioni partner perché spesso nel lavoro quotidiano non hanno le capacità per questo collegamento o per lavori basilari.
In diversi cantoni sono stati lanciati progetti che prevedono l’accoglienza di rifugiati da parte di privati, come sono le reazioni da parte della popolazione svizzera?
L’OSAR svolge l’accoglienza privata di rifugiati in quattro cantoni. L’interesse da parte della popolazione svizzera è molto grande così che a volte ci sono tempi d’attesa anche più lunghi finché qualcuno può essere trasmesso. Nel frattempo diversi cantoni dimostrano interesse di svolgere accoglienze private, vista la partecipazione della popolazione.
Esistono collaborazioni con altre organizzazioni d’aiuto in Europa? Esistono collaborazioni con organizzazioni italiane?
L’OSAR è membro dell’ECRE, l’organizzazione dirigente europeo, e della rete di ELENA, sempre a livello europeo. Tramite questa rete c’è uno scambio attivo con le ONG in altri paesi europei. Durante il viaggio di chiarimenti sulla situazione dei rifugiati in Italia nel 2010 e 2013 abbiamo conosciuto numerose ONG italiane e abbiamo inserito le loro esperienze nei nostri rapporti. In merito a casi concreti dell’accordo Dublino prendiamo informazioni dalle ONG dei paesi di destinazione e cerchiamo, nel caso di un trasferimento, di creare una rete tra le organizzazioni e le persone.
“Le famiglie nei paesi d’origine provano a mandare bambini o adolescenti”
Léa Wertheimer, portavoce della Segreteria di Stato della migrazione SEM
La SEM come commenta l’attuale situazione dei rifugiati in Svizzera?
La situazione è instabile e in poco tempo sono possibili diversi sviluppi, il che rende impossibile fare delle prognosi sicure. Il numero di accoglienza nelle strutture della Confederazione cambia giornalmente. Il continuo aumento di rifugiati però si è potuto superare, ma la situazione nei centri d’accoglienza in Svizzera è tesa. Gli alloggi sono completamente occupati e anche le strutture dei cantoni sono molto cariche.
La Confederazione prende le dovute precauzioni per poter aumentare i posti, al momento sono a disposizione 4’300 posti. Inoltre sono stati reclutati ulteriori interpreti per poter garantire una registrazione pronta dei richiedenti d’asilo. La Svizzera adempie la responsabilità che ha nei confronti di chi ha bisogno di sicurezza e dei paesi vicino nel venir a capo della straordinaria situazione di richiedenti d’asilo in Europa. È inoltre preparata per affrontare un ulteriore aumento di richiedenti nuovi.
Come reagisce la Svizzera al problema dei numerosi minorenni non accompagnati?
Al momento tutta l’Europa si vede confrontata con un gran numero di minorenni non accompagnati. La nostra esperienza dimostra che famiglie nei paesi d’origine provano continuamente a mandare un bambino o un’adolescente in Europa per far sì che un membro della famiglia abbia prospettive per il futuro migliori e in futuro riuscire a sostenere eventualmente la famiglia nella patria.
Si aggiunge che spesso i soldi che le famiglie si fanno prestare per il viaggio, bastano solo per una persona. I bambini in questi casi probabilmente vengono con parenti, che in Svizzera non vengono accettati come rappresentante legale, o con fratelli più grandi.
Quando richiedenti d’asilo minorenni non accompagnati, ovvero UMA, molto giovani vengono in Svizzera, i cantoni responsabili li alloggiano in affidamento familiare. Se ci sono membri della famiglia che abitano in Svizzera è possibile sistemarli presso questi.
Ai bambini viene data una persona di fiducia e a quelli molto piccoli un tutore che li sostengono durante la richiesta. La procedura degli UMA viene trattata con priorità. Alcuni cantoni dispongono di centri esclusivi per gli UMA.
“Non mi dirà mica che la Svizzera sta salvando persone?”
Salvatore Pittà, coordinatore della rete svizzera ‘Welcome to Europe’, intervistato da Leo Caruso di Radio Lora Italiana
La Svizzera beneficia degli accordi di Dublino e molti casi di richiesta d’asilo si concludono rinviando il richiedente nel paese “competente” che spesso è l’Italia. Ma questa situazione è valida ancora tutt’oggi?
Da quel che sappiamo è ancora valida, sì. Se si guardano le cifre si nota che viene rinviata gente sia in Italia che in Ungheria.
Da oltre un anno è in funzione la sezione Svizzera di Alarmphone da lei creata. Ci può descrivere la funzione di Alarmphone?
“Watch the med – Alarmphone” è un telefono che funziona giorno e notte 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Abbiamo dei turni a 8 ore ci sono sempre da due fino a quattro persone che rispondono al telefono. È rivolto ai rifugiati in barcone che si trovano in un momento di difficoltà e che sono in grado di telefonarci. Noi non abbiamo una barca di salvataggio, ma ci occupiamo di informare le guardie costiere e di fare anche pressione sull’eventuale salvataggio. Al momento riceviamo fino a venti telefonate al giorno.
Spesso però per i vostri attivisti rispondono al telefono non è facile perché spesso sentono delle grida, situazioni concitate, come avviene il contatto?
Ci sono situazioni molto precarie dove forse già sta entrando acqua nel barcone, perciò ci si trova sempre in una situazione molto urgente. Molte volte ci sono anche problemi di lingua noi rispondiamo sempre in inglese e dobbiamo rivolgerci ad un team per delle traduzioni se le persone che chiamano non conoscono l’inglese. Appena ci telefono, la cosa più importante è sapere la situazione e in che acque si trovano per vedere se ci sono navi commerciali negli intorni e per sapere a quale guardia costiera telefonare. In più dobbiamo sapere com’è fatta la barca se si tratta di un gommone o in legno, se c’è già acqua, quante persone sono a bordo, quanti malati, se ci sono donne incinte etc… raccogliamo più informazioni possibile e poi le passiamo alle guardie costiere così che loro possano procedere al salvataggio.
Riuscite a seguire coloro che vi contattano, avete un feedback alla fine?
Molte volte la gente la perdiamo, perché una volta salvati dalla guardia costiera gli tolgono il telefonino e non possono più chiamare oppure cambiano la sim e il contatto si perde. Ma abbiamo anche molti feedback, ci telefono tanti parenti e ci dicono che avevano il nostro numero perché abbiamo già seguito altri casi. Adesso, a poco più di un anno che funzioniamo, la gente ci conosce e anche il fatto che riceviamo una dozzina di telefonate al giorno ci dà già un feedback.
In un intervista lei ha dichiarato che l’operazione Triton succeduta a Mare Nostrum a suo avviso si poneva l’obiettivo di proteggere le frontiere piuttosto che salvare vite umane, quindi salvare vite umane non era più un fattore prioritario..
È ancora così, non è cambiato nulla. Parlando del mediterraneo centrale sono sempre le barche commerciali che salvano le persone, le barche di Triton sono sempre ancora troppo lontane e riprendono poi le persone salvate dai privati e li portano poi in Sicilia o nel sud Italia. Il compito di Triton non ha lo scopo prioritario di salvare vite, ma prendere le impronte digitali, registrare le persone e fare un’indagine per sapere come queste persone sono arrivate fino al mediterraneo. Si immagini che, per esempio, le guardie frontiere svizzere in Sicilia non fanno altro che prendere le impronti delle persone non mi dirà mica che la Svizzera sta salvando persone?
I fatti di Parigi a suo avviso avranno delle conseguenze sulla politica migratora dei prossimi mesi?
Ha già conseguenze adesso. Queste persone non erano rifugiati, non hanno niente a che fare con il tema di cui stiamo parlando adesso, ma ne stanno parlando tutti. La Svizzera ha già mandato più guardie frontiere per reagire a questa situazione, abbiamo tanti cambiamenti di legge, ormai anche la commissione Europea ha detto chiaramente che vogliono fare più controlli alle frontiere di Schengen. L’Europa e anche Schengen è nato per dare la libertà di movimento agli europei e adesso ce ne stiamo sbattendo.
La Svizzera confisca i beni ai rifugiati
Un’inchiesta del programma “10 vor 10” sta suscitando numerose polemiche dopo che l’emittente in un servizio ha diffuso la notizia che la Svizzera confisca i beni ai rifugiati per pagare “le spese di accoglienza”. Una rifugiata ha mostrato il foglio d’informazioni che i rifugiati ricevono, dove c’è scritto: «Se avete proprietà di valore maggiore di mille franchi svizzeri quando arrivate in un centro di accoglienza dovete consegnare tali asset economici in cambio di una ricevuta». La motivazione della Segreteria di Stato della migrazione SEM sarebbe quella che ai richiedenti d’asilo viene chiesto un contributo ai costi per l’assistenza sociale. Inoltre «se qualcuno se ne va volontariamente entro sette mesi può riavere indietro il denaro e portarlo con sé. Altrimenti i soldi coprono i costi che genera», ha dichiarato la portavoce.