E’ uscito il libro scritto da Pietro Orlandi e dal giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Peronaci che riapre il caso
E’ uscito il libro scritto da Pietro Orlandi con il giornalista del Corriere della Sera, Fabrizio Peronaci, e intitolato “Mia sorella Emanuela”. Come si può facilmente immaginare dal titolo, si parla della scomparsa di Emanuela Orlandi, cittadina dello Stato del Vaticano, avvenuta il 22 giugno del 1983. Emanuela aveva 15 anni e della sua scomparsa non si è saputo mai la verità. Ora il fratello, a distanza di quasi trent’anni, continua a chiedere cosa è successo quella sera di giugno alle ore 19, a Roma. Del caso si occupò subito la magistratura italiana (Il Vaticano in genere si appoggia, appunto, sulla magistratura italiana quando i casi vanno oltre i confini del piccolo Stato pontificio) ma non si è mai arrivato ad una conclusione. Si è riusciti a stabilire certezze su alcuni punti, ma poi c’è il buio. Ora, il libro ripropone alcuni approfondimenti. La tesi, infatti, è un’opinione del cardinale Re, ex prefetto della Congregazione dei vescovi e allora assessore della Segreteria di Stato del Vaticano. Ecco quello che ha detto il cardinale a Pietro Orlandi: “Non escludo che i responsabili dell’attentato a Papa Wojtyla del 13 maggio 1981, i Paesi dell’Est, abbiano rapito Emanuela per impedire ad Alì Agca di fare i nomi dei mandanti, promettendogli la libertà. Orlandi, mi intenda bene: questa è soltanto la mia idea”. Un’idea per nulla campata in aria, perché Emanuela era figlia di un impiegato che non aveva risorse, perché il rapimento avvenne un paio di anni dopo l’attentato al Papa, perché l’idea di scambiare la libertà di Alì Agca con quella di Emanuela Orlandi ha una sua logica. Ci si potrebbe chiedere: come sarebbe avvenuto lo scambio? Beh, sarebbe stata la cosa più semplice, l’importante era tenere lontani i mandanti dell’attentato, peraltro noti, cioè i Paesi dell’Est, e il rapimento era un messaggio a Alì Agca in prigione.
Pietro Orlandi, qualche tempo dopo aver parlato con Alì Agca, ormai libero in Turchia, e aver saputo da lui che chi poteva saperne di più era proprio il cardinale Re, ritornò dal cardinale, che gli consigliò di lasciar perdere. La stessa risposta Pietro Orlandi l’ha ricevuta dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capalbo, che gli ha risposto: “Ma no, Agca… Riparlare di lui dopo tanti anni? A che serve? Guardi, non è proprio il caso…”. Insomma, nessuno ha più voglia di parlare di Emanuela Orlandi, forse perché le ricerche e la verità sono diventate troppo complicate. A riaprire il caso di Emanuela fu, qualche anno addietro, Sabrina Minardi, all’epoca (anni ottanta) compagna del boss della Magliana, Renato De Pedis. e questa è la sua verità. Poche ore dopo il suo rapimento, Emanuela è su un’auto guidata da Sergio Virtù, seguita da una con Renato De Pedis e la Minardi. Emanuela poi viene affidata ad una donna, Daniela Mobili, per alcuni mesi. In seguito, Sabrina, accompagnata da Sergio Virtù, prende in consegna Emanuela da una governante di Daniela Mobili. A sua volta consegna la ragazza ad un uomo vestito da prete. A questo punto c’è il buio, anche se Sabrina Minardi ritiene che il corpo di Emanuela, chiuso in un sacco, sia stato sepolto in un cantiere da Renato De Pretis, il quale, nel 1990, fu assassinato in piena Roma e sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare, pare perché fosse un benefattore, ma restato lì anche quando si scoprì che era stato un delinquente. Ritornando a Pietro Orlandi, questi ha chiesto ad alcuni alti prelati in Vaticano di riaprire l’indagine. Secondo lui, infatti, a voler vederci più chiaramente in quello che è diventato uno dei misteri più oscuri degli anni ottanta pare sia stato il segretario del Papa, don Georg Gänswein, che ha chiesto una relazione a padre Federico Lombardi, portavoce di Benedetto XVI.
Intanto, la procura di Roma, dopo aver chiesto ed ottenuto di poter riesumare la salma di Renato De Pedis nella cripta della Basilica di Sant’Apollinare, per bocca del procuratore aggiunto Giancarlo Capalbo ha fatto sapere che tutto sommato non era necessario procedere alla riesumazione del corpo. Qualcuno, infatti, aveva fatto l’ipotesi che il cadavere di Emanuela fosse stato sepolto nella cripta dove riposa Renato De Pedis. Si comprende come la marcia indietro del vice procuratore abbia suscitato interrogativi. A scioglierli è stato il procuratore capo, Giuseppe Pignatone, che un paio di giorni dopo ha avocato a sé l’inchiesta, affermando che si procederà alla riesumazione del cadavere, sconfessando il vice Giancarlo Capalbo, e facendo intendere che la Procura sta preparando le rogatorie internazionali per poter interrogare il cardinale Re ed altri prelati che in qualche modo, all’epoca, potevano essere venuti a conoscenza di qualche dettaglio o di qualche ipotesi su quel mistero. Che è uno dei tanti misteri italiani, uno dei più importanti perché, se è vera l’ipotesi del sequestro per lo scambio della libertà di Emanuela con Alì Agca, ad averlo progettato e attuato non sarebbe un delinquente qualunque, ma personaggi dietro cui hanno operato personaggi stranieri altolocati.