Il primo libro di Paolo Tebaldi, «Quasi un dongiovanni» pubblicato nel 2009 dalla Casa editrice IL FILO DI ROMA, racchiude settanta novelle che narrono la crisi dell’uomo moderno nei rapporti di coppia, i problemi sentimentali, la sessualità, i giovani, la terza età, il mistero. L’Euroclub Svizzera ha scritto al riguardo: «Una raccolta di folgoranti racconti…Scettico e curioso come un libertino dei tempi andati, Tebaldi incanta il lettore con il suo sguardo venato di humour e disincanto». Senza abbandonare del tutto la vena erotica, che rappresenta una cifra stilistica importante nella produzione del nostro autore, egli ha voluto superare i limiti della storia breve per affrontare, con il romanzo, una narrazione di più ampio respiro. È così uscito, nel 2011, «Lena, che venne dalla campagna»
Come è nata l’idea di scrivere «Lena che venne dalla campagna?»
Dall’esigenza di approfondire caratteri, situazioni, sentimenti. Ma anche dal bisogno di mettere in primo piano il ruolo della donna in emigrazione, che rimane marginale sui trattati che parlano di noi. Il romanzo infatti è dedicato «a tutte le donne emigrate che con sacrifici, coraggio, perseveranza e intelligenza hanno dato e danno dignità e grandezza morale al lavoro e alla presenza degli italiani all’estero».
Il personaggio di Lena è frutto della fantasia o rappresenta una figura femminile in carne ed ossa?
Ambedue le dimensioni. Nella mia esperienza di animatore culturale ho incontrato mogli, ragazze, sorelle, nonne con un vissuto di intenso spessore umano, accomunate da una precipua caratteristica: non solo l’amore per la famiglia, ma la vicinanza e l’appoggio all’impegno dei loro uomini nel sociale, sia che si trattasse della militanza in una associazione, oppure nel partito o nel sindacato.
Qual è il taglio formale prevalente nell’opera?
Questo è un romanzo un pò anomalo: intorno a Lena, personaggio femminile principale, s’intrecciano, a farle da coro, figure minori, uscite dall’immaginazione dell’autore, ma anche generi letterari, diversi: il racconto breve, il saggio, la poesia. Così, oltre a tre episodi «noir», trovano spazio rapide escursioni sui contrasti dei partner, sui giochi erotici, sulle diverse forme di espressività sessuale e ludica. L’autore si è voluto poi cimentare con dissertazioni su temi d’attualità o di un certo interesse, come l’integrazione condivisa, l’interculturalità, i giovani, gli anziani, l’associazionismo, il testamento biologico, l’identità.
Posta al centro di questi saggi, scritti di varia natura, chi è dunque Lena?
Lena è una contadinella del Sud che negli Sessanta emigra con la famiglia a Zurigo. Va a lavorare in fabbrica, conosce il cottimo, lo sfruttamento, le discriminazioni. Anche la sua vita sentimentale risente. Nel bene e nel male essa racchiude quattro generazioni di italiani all’estero, due civiltà, due filosofie, due modi di vivere antitetici. Poi, per caso, Lena entra nell’associazionismo, ne condivide le ragioni e gli obiettivi di riscatto e di emancipazione. Combatte contro lo statuto dello stagionale, la xenofobia, l’isolamento. Diventa una dirigente dal carattere forte e indipendente. Ama il suo paese d’origine, le sue tradizioni, ma capisce che la vera identità di una persona si trova riuscendo ad inserirsi attivamente come cittadino a pieno titolo nel contesto sociale, politico, culturale del Paese di accoglienza.
Prospettive per il futuro? Un secondo romanzo?
Ho scritto cento nuovi racconti. Bozzetti, vicende con cui scandaglio uno sguardo a volte divertito, a volte dolente, intorno ad una umanità varia e composita. Cento novelle per ora chiuse in un cassetto. I costi di pubblicazione sono al di sopra delle mie modeste risorse economiche di pensionato AVS. E non vi sono mecenati in giro. Spero di vincere al Lotto.