Il Cremlino preoccupato per i suoi interessi economici e strategici in Siria e in tutta la regione e corre ai ripari
La settimana scorsa avevano riferito sul “dossier Siria”, studiato congiuntamente sia dagli Usa che dalla Russia, che per la prima volta aveva consentito ad esaminare la situazione insieme agli americani, malgrado gl’interessi dei due Paesi siano stati e siano tuttora differenti. Qual è stato il motivo che ha spinto i russi ad abbandonare, seppure in parte, il loro tradizionale atteggiamento di chiusura verso una soluzione che non fosse decisa dai siriani stessi? Il motivo, in realtà, è che le opposizioni siriane, che fanno riferimento a varie sigle ed organizzazioni, pullulano di terroristi che seminano stragi e massacri per drammatizzare il conflitto. In pratica, la Russia teme che portare alle estreme conseguenze la guerra civile possa creare il terreno fertile per un caos ancora più gigantesco che getti la Siria in un deserto civile, politico ed economico che spazzi via gl’interessi russi.
Questo processo, tuttavia, è già in atto, per cui è difficile prevedere una prospettiva di pacificazione nazionale con il leader del regime attuale, Bashar Assad, ancora in posizione di primo piano. Come si sa, la Russia, insieme alla Cina, ha difeso Assad in seno al Consiglio di sicurezza con il veto posto ad un intervento militare comunque camuffato, ma la situazione sta andando verso un punto cieco che non giova a nessuno.
Gli interessi economici e strategici della Russia in Siria sono grandi. Basta pensare che solo nel 2011 la Russia ha fornito armi alla Siria per 4 miliardi di dollari. Il 50% degli armamenti bellici siriani provengono dalla Russia, il 30% dalla Cina (altro Paese che ha posto il veto all’intervento) e dalla Corea del Nord e il resto dall’Iran ed altri. Non solo. La base siriana di Tartus è l’unica, ormai, di cui la Russia dispone all’estero. Basterebbero solo questi accenni per capire perché la Russia si è sempre mostrata restia ad abbandonare l’alleato. Ma c’è di più. Finora la storia ha dimostrato che là dove la Russia ha acconsentito ad appoggiare le proteste popolari, sono sempre stati gl’interessi americani a prevalere. Insomma, la Russia non è disposta a cedere terreno a favore degli Usa. Una volta la Polonia e le Repubbliche baltiche orbitavano nell’Unione Sovietica, così come pure la Cecoslovacchia. Dopo la caduta dell’Urss, tutti questi Paesi si sono affrancati e si sono posti sotto la protezione americana, al punto che gli americani si trovano a due passi dalla Russia stessa, con installazioni tecnologiche d’avanguardia per controllare, si dice, l’Iran, ma, sotto sotto, anche la Russia.
La Russia, dunque, ha la sensazione di perdere terreno in una vasta ragione dove tradizionalmente gl’interessi di Mosca prevalevano. Non solo. C’è anche il timore, come è già avvenuto in Libia, in Egitto e in Tunisia, che dietro le sollevazioni popolari che chiedono l’appoggio internazionale e che poi finiscono per rovesciare regimi amici della Russia, ci sia una strategia ben precisa, anche se sfuggente. Insomma, la Russia vede tanti rischi per i suoi interessi, ma comincia a fare anche i suoi calcoli e a cercare di non perdere posizioni, anche nell’eventualità, sempre più vicina, che il regime non ce la faccia a resistere a lungo.
La Siria attuale, con la rete degli interessi già precostituiti, comincia a non essere più affidabile, e dunque la Russia prefigura anche una via d’uscita, da una parte, ma anche una via di recupero dall’altra. Due sono i fatti che lasciano presagire un cambiamento nell’atteggiamento e soprattutto nelle convinzioni della Russia. Il primo è che il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, ha ammesso che “una vittoria dell’opposizione non può essere esclusa” in Siria. Il secondo è che siccome gli oppositori vedono nell’ambasciata russa a Damasco una specie di cittadella nemica, il governo russo sta pensando all’invio delle truppe speciali per proteggerla. Certo, le dichiarazioni abbondano di parole di “preoccupazione”, di “rammarico”, di “timori” per la piega che stanno prendendo gli avvenimenti, ma la realpolitik impone di guardare avanti e di non lasciarsi travolgere dagli avvenimenti.
Una svolta clamorosa non è data come imminente, ma la si ammette come possibile nei prossimi mesi (se non prima). Il che avvalora anche le ipotesi che il regime stia pensando a salvare i suoi uomini studiando soluzioni idonee, tipo, ad esempio, fughe o richieste di protezione all’estero (esilio).