Nel solo mese di gennaio negli Usa si sono persi 600 mila posti di lavoro, con un crollo del Pil del 6,2%, quasi il doppio rispetto al 3,8 preventivato. Ormai la crisi sta iniziando la fase più acuta, trascinando Paesi tradizionalmente avanzati. Si fa sentire pesantemente in Germania, ma anche in Inghilterra, in Giappone, in Spagna, in Svezia, in Danimarca, in Norvegia, eccetera. L’ondata passa e travolge le economie di tutti i Paesi, anche di quelli che si ritenevano più al sicuro per il sistema bancario “solido”, come la Francia e l’Italia. Il Presidente Obama, dopo l’entusiasmo e le speranze della sua elezione, ha visto le sue quotazioni in ribasso per gli abbandoni giudiziari della sua squadra e per i dubbi sull validità del suo piano contro la crisi. Ma ultimamente ha ripreso il volo, sia con un discorso che ha richiamato la Nazione alla responsabilità, quando ha detto che “a volte basta imbiancare una casa, questa volta bisogna ricostruirla dalle fondamenta”, sia con la determinazione a uscire dalla crisi con nuove regole e con un salto di qualità per tutti. In questa direzione vanno il ritiro delle truppe dall’Iraq entro 18 mesi, i 600 miliardi di dollari per l’assistenza sanitaria a tutti, la diminuzione delle tasse al 95% della popolazione e l’aumento dal 36 al 39% al restante 5% dei benestanti o ricchi che hanno un reddito superiore a 250 mila dollari all’anno. Se la scommessa sarà vinta, lo si dovrà ad un messaggio chiaro e forte alla Nazione. In Italia, l’abbiamo detto più volte, la crisi economica viene gestita da Giulio Tremonti con una capacità non comune e con una serie di misure che hanno avuto il plauso prima del FMI e poi dell’Europa, ma il salto di civiltà da parte del governo nel suo complesso e del suo titolare e da parte dell’opposizione e degli altri soggetti proprio non si vede. Il governo non ha mai pensato di invitare la Nazione – non il Paese, ma la Nazione – alla responsabilità sul lavoro e sui doveri di ognuno l’opposizione continua nell’unica politica che sa fare, quella di demonizzare il premier; i sindacati, soprattutto quello più grande, la Cgil, preferiscono chiudere gli occhi di fronte alle imprese in difficoltà per concentrarsi sull’organizzazione di centinaia di scioperi o per opporsi a qualsiasi regolamentazione, vista come attentato alle libertà; i cittadini, da parte loro, soprattutto gl’impiegati nei settori pubblici più disparati tirano a campare allegramente, tra una lamentela e l’altra, ma senza fare il proprio dovere. In questo modo, quando la crisi sarà terminata, gli altri Paesi, quelli che oggi hanno già standard di civiltà più elevati, ne usciranno “migliori”, l’Italia, invece, avrà anche superato la crisi, ma rischierà di continuare ad essere sempre un Paese di seconda serie.