La Commissione per il Congresso non ha ancora stabilito regole condivise ma ormai si profila uno scontro tra l’ala ex democristiana e quella ex diessina
La Commissione per il Congresso del Pd è formata da 19 membri, ma tre sono quelli che dovrebbero mettersi d’accordo sulle regole. I tre sono Nico Stumpo (bersaniano), Lorenzo Guerini (renziano) e Roberto Gualtieri (dalemiano). Il fatto, però, è che queste regole sono di là da venire, non c’è accordo, non ci sono ancora nemmeno le regole, perché non c’è solo quella del segretario del Pd che deve essere o non deve essere anche candidato premier, ci sono anche l’ordine e i tempi dei congressi di circoli, quelli provinciali, quelli regionali e infine quello nazionale, i quali, se si svolgessero in quest’ordine, anche cronologico, vedrebbero allungarsi notevolmente i tempi, mentre si parla sempre del 7 novembre per quello nazionale. Insomma, in assenza delle regole, alla festa dell’Unità di Genova e altrove (leggi Firenze e dintorni) ci sono dibattiti e scaramucce che ruotano attorno a Matteo Renzi, sindaco di Firenze e candidato a segretario del Pd, nonché premier in pectore alle prossime elezioni politiche.
Renzi, da tempo, va dicendo che scioglierà il nodo sulla sua candidatura a segretario del Pd quando verranno decise le regole, ma il suo attivismo dice che ha già sciolto il nodo. Attorno alla sua candidatura, dopo il fuoco di sbarramento iniziale che aveva visto addirittura la formazione di un vasto Ressemblement interno, si sta coagulando una galassia di nomi. Non ci sono solo quelli della prima ora, come Veltroni e la sua corrente, ci sono nomi che fino a poco tempo fa erano organici all’ex segretario Bersani e che ora sono passati con lui, nuovi convertiti oppure – dicono alcuni – riciclati. Lo stesso D’Alema, una volta bersaglio del “rottamatore” fiorentino, malgrado i suoi ondeggiamenti, si era, ma solo per un tempo limitato, convertito alla candidatura di Matteo Renzi, salvo poi sganciarsi velocemente per tentare di allargare la base della rappresentanza degli ex Ds che dovrebbe esprimere una candidatura da opporre proprio a Matteo Renzi. L’ultimo convertito in ordine di tempo è stato Franceschini, un tempo fiero avversario di Renzi, ed ora suo sponsor. Franceschini ha trascinato con sé tutta (o quasi) l’area degli ex democristiani, cosicché la sfida potrebbe svolgersi tra gli ex democristiani e gli ex comunisti. Manca solo Enrico Letta, che non può fare una scelta per motivi di opportunità, ma che in segreto l’avrebbe già fatta: a favore di Renzi, toscano come lui e suo grande amico.
Insomma, Renzi, prima era avversato, ora invece incontra un ampio sostegno, al punto che si parla di lui come il vincitore del Congresso futuro. Lui stesso, recentissimamente, ha ironizzato: “Dicono che abbiamo già vinto il Congresso. Intanto inizino a convocarlo”. A giudicare dalle adesioni appariscenti e meno appariscenti, Renzi ha con sé la stragrande maggioranza del partito (78%), almeno sulla carta, al punto che qualcuno, come Veltroni, lo mette in guardia proprio da coloro che saltano sul carro del vincitore, perché i motivi sono due. Uno, è quello di passare all’incasso in termini di posti di potere, l’altro è quello di condizionare la carica innovativa del futuro segretario paralizzandolo nella sua azione politica, esattamente come successe a Veltroni, che aveva una maggioranza larghissima che lo appoggiò fin quando c’era convenienza, poi fu proprio quella stessa maggioranza a chiederne le dimissioni quando perse le elezioni già perdute in partenza.
Gli interventi di Renzi, comunque, sono da leader in pectore: “Niente discussioni polemiche, niente battaglie stupide sulle regole, niente rinvii: proviamo a parlare di quello che serve all’Italia. Tiriamo fuori le idee e le proposte su cui ricostruire l’Italia (…) Chi non innova, non cambia, nell’economia come nei partiti, perde (…) Usiamo il Congresso per raccontare l’Italia che vorremmo (…) Il Congresso sarà utile per capire cosa significhi essere sinistra. La sinistra è stata quella che si è astenuta sulla Statuto dei Lavoratori o quella che ha fatto le più belle battaglie nelle fabbriche? La sinistra in Italia è stata anche quella che non voleva la tv a colori. Il luogo della sinistra è la frontiera, non il museo. Lo stile della sinistra è il coraggio, non la paura”.
Gli avversari di Renzi sono tanti, ma hanno la stessa matrice: provengono dai Ds e vogliono mantenere l’identità di sinistra. Non c’è solo l’ala ex comunista dichiarata, come l’ex ministro Fabrizio Barca; c’è la galassia dell’ex segretario Pierluigi Bersani, definito “spompo” da Renzi, ricambiato con un giudizio lapidario e sprezzante: “E’ uno che sa fare solo battute”. C’è la sinistra antagonista, come Civati, e c’è la sinistra similbersani, come quella incarnata da D’Alema, nei momenti cruciali il dominus del partito.
Proprio D’Alema è colui che sta tentando di mettere insieme gli oppositori di Renzi in nome di una politica di sinistra nel solco di una tradizione chiaramente socialdemocratica. Ecco un esempio del sarcasmo dell’ex premier: “Renzi vuole fare il rivoluzionario ma ha tutta la nomenklatura con lui. Anche Letta lo sosterrà, perché non può perdere. E’ come se avessero voluto prendere la Bastiglia andando con le regine, il re e le baronesse”. A proposito delle regole, D’Alema nega a Renzi quello che voleva nel 1998 per sé, quando disse: “Il segretario del partito può fare il premier, non è figlio di un dio minore”.
Morale? D’Alema investe Cuperlo come anti Renzi: “Ha grande cultura, grande moralità (…) noi ci batteremo al congresso. Non abbiamo l’abitudine di arrenderci prima di cominciare”.
La sfida è pronta: Renzi contro Cuperlo. Una sfida impari.