Carla Perrotti, la prima donna al mondo ad attraversare a piedi e da sola alcuni tra i più difficili deserti al mondo, dal Tenéré in Niger al Simpson in Australia; dal Kalahari in Botswana al temutissimo Taklimakan in Cina conosciuto come “il deserto della morte irrevocabile”. Questa grande donna ci racconta del suo particolare rapporto d’amore con questi ambienti così ardui ed affascinanti al tempo stesso.
Ricorda quando ha preso la decisione di intraprendere il suo primo viaggio?
Io ero già stata nei deserti in alcune occasioni quando con mio marito giravamo dei documentari per la televisione italiana. Ci si muoveva, però, in maniera tradizionale, con gli automezzi, come fanno un po’ tutti. Mi sono resa conto che in questo ambiente c’era qualcosa di particolare che mi ha stimolato la voglia di viverlo dall’interno facendo un’esperienza con i nomadi del deserto. Sono riuscita a farmi accettare da una carovana. Inizialmente l’interesse era quello di capire come loro vivono questo luogo. Da quest’esperienza, che è andata molto bene, è iniziata la mia storia con le varie visite agli altri deserti, tutte portate a termine con successo e con le quail ho stabilito vari record mondiali femminili. In un certo senso il deserto fa parte della mia vita senza che lo abbia cercato: è stato un incontro.
Ha sempre avuto questo spirito avventuriero o lo ha scoperto dopo le prime esperienze?
Come ho già ditto, io vengo da anni di viaggi per tutto il mondo che facevo con mio marito per girare documentari. La voglia di avventura risale a questo periodo, quando cioè ci avventuravamo in posti impossibili, girando col sacco in spalla. Posso dire che la voglia di avventura è nel mio DNA: recentemente si è ipotizzata l’esistenza del Fattore Ulisse, una parte del codice genetico di alcune persone che, più di altre, sono predisposte all’avventura e alla scoperta.
Cosa la spinge ogni volta a cimentarsi con nuove imprese?
Tutto è cominciato come curiosità per capire cosa c’era dall’altra parte. Dalla curiosità sono arrivati i record che mi hanno dato ancora più carica, un ulteriore stimolo per andare avanti. Mi sono accorta però che c’è molto di più: la verità è che col deserto ho instaurato un rapporto di grande amore che mi ha aiutato a superare le difficoltà perché se non avessi amato questi luoghi non ce l’avrei fatta ad affrontarli.
Quali sono le emozioni e le sensazioni positive che ricava da questi viaggi?
Credo che ognuno percepisca delle sensazioni personali. Quando ho iniziato un nuovo percorso di condivisione del deserto con alter persone, ho notato che in tutti succede qualcosa ma con modalità diverse, ognuno reagisce a suo modo. È un ambiente che dà molto a livello emotivo: sarà per i grandi spazi o forse per il silenzi ma riesce sempre a coinvolgermi.
Quanta preparazione c’è dietro ad un viaggio: studio, documentazione ma anche preparazione fisica?
Tantissimo lavoro, almeno 2 anni. Tutta una parte dedicata allo studio del materiale che mi procurano gli sponsor: Wild Roses, Ferrino, La Roche-posay, Garmin, spot. Poi c’è la parte della preparazione fisica che è molto impegnativa e la eseguo con Franco Nava, il mio preparatore altletico che mi ha seguito per tutti i deserti. Poi c’è la documentazione del luogo e lo studio dell’ambiente con sopralluoghi per vedere le caratteristiche del deserto. Infine c’è il discorso dell’alimentazione che è molto delicato perché non posso portare con me del cibo per cui mi nutro con degli integratori. Per questo sono seguita dall’Università di Milano, dalla facoltà di scienze motorie.
Attraversando un deserto a piedi, e da sola, ci saranno momenti di sconforto. Come fa a superarli?
Non deve far paura la solitudine che, in questo caso, è voluta e cercata, è una situazione di privilegio. Forse anche per predisposizione mia, mi trovo bene da sola. In genere le persone, invece, hanno paura della solitudine perché si trovano davanti ad una parte di loro stessi che non conoscono.
Quali sono le sue paure?
L’incubo giornaliero è quello di non trovare l’acqua. Se non trovo l’acqua devo farmi lasciare i rifornimenti e devo sperare di arrivarci. Ho provato la sete vera e so cosa vuol dire, senza acqua non si va avanti! Questa è la mia vera grande paura.
Gli altri rischi sono tutti calcolati perché fanno parte dell’ambiente, come per esempio gli animali: bisogna stare attenti e rispettarli perché sono io l’intrusa. Poi ci vuole un minimo di conoscenza, per esempio quando mi capita di incontrare dei serpenti, so che sono tutti velenosi in queste zone e l’unico atteggiamento possibile è quello di fermarsi, non certo scappare! Ma in generale loro capiscono che io non ho cattive intenzioni e poi in molte occasioni sono stata anche fortunata!
Ha mai pensato: “questa volta non ne esco?”
Una volta non trovavo più acqua e mi ero data il limite che se entro le 12 dell’indomani non l’avessi trovata avrei smesso. Ci sono dei momenti in cui bisogna avere dei limiti. Bisogna sempre cercare di spostarli in avanti ma devono sempre esserci. Il destino, però, ha voluto che un’ora prima della scadenza del termine che mi ero imposta trovassi l’acqua. L’ho interpretato come un segnale che il deserto volesse darmi una mano.
Ha visitato 5 deserti in 5 diversi continenti. Quale le ha fatto più paura e quale l’ha sorpresa maggiormente?
Credo che l’ultimo, il deserto australiano, sia stato quello che più mi ha sorpreso. È un deserto particolare, con la sabbia color mattone, abbastanza monotono formato da cordoni tutti uguali. Per 20 giorni mi sono ritrovata ad avere sempre lo stesso andamento che è una cosa molto stancante. In più c’è stato il problema degli animali. Sapevo cosa mi aspettava ma non pensavo che fosse così difficile, sia dal punto di vista climatico che della conformazione del terreno. Poi ha piovuto tutta una notte: ciò mi ha dato un sacco di problemi ma anche l’emozione di vedere la mattina seguente il deserto fiorito.
Come riesce a far convivere la sua indole d’avventura con la vita familiare, l’essere moglie e mamma?
Non è facile riuscire a fare tutto, è una questione di equilibri. Ho la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre seguito: mio marito è medico, fa parte della squadra di supporto e con lui ho un continuo rapporto di lavoro. Con mio figlio il discorso è stato un po’ più delicato. Era abituato ad avere genitori che spesso partivano, poi l’ho anche coinvolto, è un ragazzo molto sportivo per cui comprende a pieno il significato del raggiungimento di certi obiettivi.
Quale sarà la sua prossima avventura?
Dopo il record dei 5 deserti ho accompagnato un cieco, il maratoneta Fabio Pasinetti, nel deserto egiziano, il deserto bianco, nel 2008. A quel punto mi sono resa conto che la mia solitudine doveva essere condivisa. Così dallo scorso anno ho cominciato il Desert Therapy in cui accompagno piccoli gruppi di persone a camminare con me in un deserto per qualche giorno per fare vivere loro le emozioni che ho vissuto io.
Poi ci sarebbe sempre il mio sogno nel cassetto di vivere per qualche tempo sott’acqua per un mese ma è impegnativo è costoso. Io dico sempre che i sogni è bello averli, poi se si realizzano è meglio!
Eveline Bentivegna