Tra regime e opposizioni è scontro all’ultimo sangue, mentre le formazioni islamiche devastano le città con attentati a ripetizione che mettono in ginocchio la popolazione e il Paese
In Siria la situazione è tale per cui chiunque alla fine vincerà, sarà un perdente, perché tutto il Paese è un cumulo di macerie, le strade sono inzuppate di sangue, l’odio che nel frattempo è cresciuto non sarà destinato a placarsi. Lo si vede in Libia, dove l’uccisione di Gheddafi più che la pace sta portando disordini, rancori, odi, attentati, guerra; lo si vede in Tunisia, dove la fuga di Ben Alì non è stato un inizio di pacificazione, ma un inizio di recriminazioni, di lotte, di massacri; lo si vede anche in Egitto, dove il partito islamico di Morsi, eletto presidente, non padroneggia la situazione, anzi, sta facendo emergere di nuovo la tendenza alla dittatura dell’uomo forte di turno e il potere dell’esercito, che una volta sosteneva Mubarack, ora sostiene Morsi, secondo un copione collaudato dalla tradizione e dalla storia, oltre che dai numeri.
In Siria, dal marzo del 2011 ad oggi, si contano ben 70 mila morti, 700 mila rifugiati nei Paesi confinanti, milioni senza casa: sono i numeri delle macerie accumulate in poco meno di due anni. Ne valeva la pena? Era proprio necessario scatenare tutto questo putiferio visto che il gruppo islamista terrorista si propone di far diventare la Siria un Paese islamico nella più pura accezione di questo termine, cioè una dittatura peggiore di quella di Assad? Il dubbio o la domanda potevano essere liquidati nei primi tempi dopo la repressione del regime, ma ora si pongono con drammatica attualità, anche se la risposta è scontata: ormai nessuno torna indietro, troppo in avanti si è spinta la furia vendicatrice da ambo le parti.
In campo ci sono tre fazioni. C’è il regime di Assad, ereditato da padre, un dittatore non tenero nei confronti degli oppositori, che ha continuato nella tradizione del padre, per quanto ammantato di minore (forse) crudeltà, se non altro perché Assad ha studiato all’estero, ha sposato Asma, una giovane siriana vissuta in Inghilterra. La famiglia Assad è un potere minoritario dal punto di vista religioso, quello alauita, cioè sciita legato all’Iran. Dal punto di vista religioso, tuttavia, ma solo da quello, non c’è fanatismo, il pugno duro è nel potere politico esercitato con la forza. Ci sono gli oppositori, che hanno iniziato la rivolta. Non è che gli oppositori del regime siano migliori dei rappresentanti del regime stesso. In realtà sono la maggioranza dal punto di vista religioso, sono sunniti, come lo sono in Egitto e in molti altri Paesi musulmani. Tanto per capirci, in caso di una loro vittoria, ci sarebbe un regime di segno religioso diverso, ma sempre regime con un dittatore di turno. Ad ingrossare questa fazione, tuttavia, ci sono anche tanti militari che hanno abbandonato il regime per riparare all’estero e diventare oppositori e attivisti militare nell’altro campo. Forse molti non si aspettavano la resistenza del regime, ve ne sono che, però, lo hanno abbandonato perché stanchi della repressione. In Siria, come anche negli altri Paesi musulmani, esiste anche una quota di democratici all’occidentale, ma sono merce rara. Questa fazione sta conducendo un’opposizione militare al regime, ma non sempre candidamente. Poi c’è una terza fazione (tanto per semplificare), i fanatici, i fondamentalisti di Al Qaeda, che compiono attentati e vogliono instaurare, come detto, un regime islamico-fondamentalista.
In campo internazionale, la Russia ha finora protetto Assad, ma negli ultimi tempi la protezione è sempre meno convinta, anche se la Siria è un partner commerciale e militare di primo piano. Ultimamente sta favorendo una soluzione che preveda anche un cambio di regime, ma con uomini del regime stesso. In campo ci sono anche gli Usa, che, memori dell’esito della guerra in Libia, non mandano troppe armi agli oppositori, sia perché Obama ha abbandonato il Medio Oriente, sia perché queste andrebbero a finire nelle mani di Al Qaeda. Insomma, una situazione drammatica, da “muoia Sansone con tutti i filistei”.
Dopo gli ultimi, micidiali attentati che hanno insanguinato il quartiere di Mazraa con 53 vittime e centinaia di feriti, l’impressione è che l’ecatombe sia destinata a continuare. La Siria è diventato un Paese invivibile, e lo sarà per decenni, chiunque vincerà, comunque andrà a finire.
Le speranze che almeno altre vittime siano risparmiate sono appese ai capi dell’opposizione riuniti in Egitto per discutere una proposta di trattativa, ma si dubita fortemente che si riesca a trovare un’alternativa al desiderio di distruzione totale.