La Russia e la Cina pongono il veto alla risoluzione di condanna da parte dell’Onu
A distanza di quasi un anno, la Siria è nel caos. Ci sono voci, non controllate, secondo cui parenti di Assad sarebbero all’estero. Si sa che la visita” della Lega Araba dei giorni scorsi ha dato fiato ai manifestanti e alle loro rivolte durante cui la violenza non è mancata, ma quando la delegazione della Lega Araba è ripartita, la repressione non si è fatta attendere. Usa, Inghilterra e Francia vogliono arrivare ad una risoluzione di condanna, ma la Russia è contraria, non vuole un’altra Libia, a proposito della quale la risoluzione Onu prevedeva la no-fly-zone a difesa delle popolazioni civili e poi, invece, è stata un pretesto per attaccare il regime di Gheddafi e i suoi sostenitori. Come si sa, in Libia il regime è stato spazzato via dopo mesi di guerra ma solo con l’intervento degli alleati è stato possibile neutralizzarlo, a dimostrazione che il regime, per quanto inviso, era largamente sostenuto dalla popolazione. Ora, a dittatore ucciso e a Libia liberata, i cosiddetti lealisti di Gheddafi hanno ripreso le ostilità e occupato un’intera città, Bani Walid, e ripreso a combattere a Tripoli. Insomma, la Libia è lontana dall’essere pacificata e, quel che lascia forti dubbi sul futuro, è in preda ai contrasti. I russi, dunque, esattamente come i cinesi, sono contrari ad un intervento dell’Onu, al punto che avevano dichiarato che avrebbero fatto valere il diritto di veto su qualsiasi risoluzione di condanna contro la Siria e l’hanno fatto. L’Onu, perciò, al massimo potrà approvare una mozione di condanna. D’altra parte, una risoluzione che preveda anche solo le dimissioni di Assad e il passaggio del potere al suo vice e contemporaneamente la garanzia che la Siria non sarà smembrata, anzi, che le sarà garantita l’indipendenza e la sovranità, è vista con sospetto, perché una volta Assad fuori gioco, nessuno potrà mai assicurare che le rivolte cessino.
A questo punto, bisogna aprire una parentesi, e dire ciò che a suo tempo abbiamo detto a proposito di Mubarack, di Ben Alì e di Gheddafi stesso, tre leader che hanno governato col pugno di ferro il loro Paese e che non hanno garantito, a parte Gheddafi in Libia, pressoché nessun benessere al popolo in nome del quale governavano. Poca libertà e pochissimo benessere che si sono accompagnati a corruzione e a nepotismo. Però, hanno sempre impedito un regime ancora più duro quale può essere quello teocratico dei Fratelli Musulmani. Il vero torto dei tre leader citati – a cui si può aggiungere anche Assad – è che non hanno mai favorito il ricambio, ma sono rimasti inchiodati alla poltrona come se il potere fosse loro dovuto. Cosa sta succedendo in Egitto con la “primavera araba”? Via Mubarack, la piazza Tahrir è sempre piena, i manifestanti vogliono mandare via anche i militari. E chi sono i manifestanti? Sono in stragrande maggioranza appartenenti ai Fratelli Musulmani, coloro che hanno vinto le elezioni perché sono l’unico partito organizzato per davvero. Dunque, in Egitto si prospetta un passaggio dal regime di Mubarack ad un regime musulmano, più o meno fondamentalista. E’ un progresso rispetto a prima? Si direbbe proprio di no. Se consideriamo che la stessa cosa possa succedere in Libia e in Tunisia, allora si comprende come i cristiani in Siria abbiano chiaramente detto che per loro è meglio Assad che un regime musulmano, perché dall’uno possono essere difesi e garantiti nel culto, dagli altri possono venire solo violenze e persecuzioni. L’attivismo del Sottosegretario americano, Hillary Clinton a favore dei manifestanti, dunque, non va nella direzione giusta, perché finirà per sostituire un tiranno con un altro tiranno peggiore del primo, con la differenza che si può destabilizzare la Libia, ma se si destabilizza la Siria può succedere il finimondo. Ed è probabilmente quello a cui si andrà incontro se le cose precipiteranno, come, stando alle ultime notizie, può accadere da un giorno all’altro. Al posto di soffiare sulla piazza, di promettere aiuti e sostegno, l’America dovrebbe favorire un cambio di regime, spegnere la protesta non dando nessuna speranza di difesa e favorire un processo democratico che comunque presuppone tempi lunghissimi. Le scorciatoie sono, come detto, ancora più pericolose, ma non è il buon senso a sembrare di essere la stella polare degli avvenimenti in Siria e in genere nel Medio Oriente.