Eravamo poveri ma molto uniti!
L’anno scorso, a cura di Tindaro Gatani, è uscita l’autobiografia di Beniamino Cappai, un nostro caro e fedele lettore, che in seguito alla pubblicazione ci ha inviato una lettera nella quale ci dice del suo libro e della voglia di raccontare la sua storia. Una lettera che, a nostro parere merita di essere pubblicata. Così vi proponiamo alcuni stralci della lettera di Beniamino, insieme ad alcune citazioni del suo libro sulla sua vita
“Da oltre quarant’anni sono ospite in un paese straniero – inizia così la premessa della storia della vita di Beniamino Cappai, classe 1930 – La Sardegna di allora, 1950, era, e non la dimenticherò mai un’isola da terzo mondo, il lavoro era esclusivamente quello delle miniere… si era costretti ad accettare oppure a morir di fame”.
Nella sua lettera precisa che lui era “di famiglia numerosa e povera ho fatto una buona scuola militare uscendone soddisfatto con la promessa e tanta illusione di proseguire anche dopo il congedo, ma purtroppo l’Italia è quella che è e mai cambierà, a malincuore, per farmi una famiglia ed un avvenire sicuro, sono dovuto volontariamente esiliarmi. Certamente rimandendone soddisfatto, se non lo fossi, non sarei ancora qua dopo una permanenza di 65 anni. Così dopo la pensione mi sono rimesso a scrivere provando diverse soddisfazioni che leggendo il mio diario si potranno capire…”, ci scrive il signor Cappai.
“Questo non è un romanzo su storielle e fantasie incredibili, questo è il diario della mia vita vissuta con fatti, luoghi e personaggi veri, persone che ho avuto l’onore di conoscere, di viverci fianco a fianco e per le quali ho un grande rispetto”, ci scrive nella sua lettera Beniamino. Nei suoi racconti, tutti quelli che sono partiti dalla propria terra per recarsi in un altro luogo si riconosceranno, magari in alcune parole più che in altre, ma è uno scritto che accomuna tutti.
“Era il quattro di aprile del millenovecentocinquanta, era una mattina bellissima. Salutai mia madre e i due fratelli più piccoli, che erano rimasti a casa, mio padre lo avevo salutato la sera prima… Ero felicissimo di partire, però, mentre il treno si allontanava, mi fece un effetto sul mio cuore, mi sembrava che qualcosa si staccasse da me, e sentivo come una strana tristezza dentro di me, ma poi pensai: è una cosa passeggera – è così che Beniamino nella sua autobiografia descrive la partenza per il servizio militare – Fu la prima volta che mi staccai dai miei genitori, e anche dai miei fratelli. Noi eravamo poveri ma molto uniti, attaccati l’uno all’altro, perciò se mi assalì quella nostalgia, era anche comprensibile…”.
Il signor Cappai ha prestato il servizio militare in Friuli, e lì ha conosciuto la sua moglie, Luciana De Clara. “La prima volta che l’ho traversato ci ho messo tre ore in più – scrive Cappai del viaggio da Udine, dove viveva la sua fidanzata, a casa sua in Sardegna – C’era il mare a forza sette, non c’era un passeggero che non vomitasse ed io assieme agli altri, tutta la notte… La mattina non si vedeva l’ora di toccare terra…”.
Dopo diverse esperienze lavorative in Friuli, nel 1956 Beniamino è emigrato in Svizzera, nel canton Zurigo. Delle sue esperienze in Svizzera, da “immigrato a integrato”, lui scrive: “Quando io venni in Svizzera, la considerai una casa di persone estranee ma di tutto riguardo, ho dovuto sfoderare il meglio del mio repertorio di educazione, serietà, gentilezza, con spirito di adattamento e sottomissione, alle leggi, agli usi, e ai costumi del posto, mantenere un contegno cordiale e i buoni rapporti con i colleghi di lavoro e con la gente con cui si era a contatto”.
“Fermandomi un istante a pensare, dico: ma ci pensiamo bene quando decidiamo di fare o comprare una casa in Italia? Quando noi la nostra vita l’abbiamo passata qua, quando i nostri figli sono nati e cresciuti qua, ci compriamo la casa in Italia per trascorrerci un mese all’anno. E quello che costa! Io ho provato, ma ho sperimentato che la cosa non rende. Poi chi lo sa quanto possiamo vivere, chi lo sa se alla pensione ci si arriva? Meglio goderseli qua i soldi che qua abbiamo guadagnato e finché siamo in vita e in salute…”
E cosa pensa il signor Cappai della Svizzera? “La Svizzera credo sia unica al mondo, dove regna una palpabile disciplina, dove la gente si sente ancora sicura, sia sulle strade che nelle case… Avevo venticinque anni quando misi piede sul suolo svizzero; non mi inchinai per terra a baciarlo come fa il Papa in ogni paese che va: io ci lasciai tante gocce di sudore, e lo feci con dedizione e senza furbizia… Ora io e mia moglie, dopo una lunga vita di lavoro, ci godiamo la nostra pensioncina guadagnata con lunghi e duri sacrifici…”
“Non posso che confessare che non mi sono pentito di essermi esiliato spontaneamente in Svizzera, per potermi fare una famiglia. Oggi sono contento di averlo fatto vedendo il risultato dei governi italiani, anche se i primi anni sono stati duri li ho sopportati e trascorsi con la pazienza che ognuno di noi possiede, sperando sempre al domani migliore. Ho sempre rinnegato l’idea che uno è fortunato, o che si spera che un domani arrivi la fortuna. Io ho sperimentato che la fortuna dobbiamo farcela da noi, con le nostre braccia e lavorando con la nostra testa. Oggi guardandomi indietro dico e penso che sono contento di me e della famiglia che ho… Ho due generi quattro nipoti che tratto e voglio bene come se fossero tutti i miei figli, e mia moglie è al pari di me”, conclude Beniamino nella sua lettera.
Manuela Salamone
Foto e didascalie tratte dall’autobiografia
di Beniamo Cappai