Mediterraneo, mare della vergogna. L’urlo disperato di chi non ha voce
Un urlo.
Un abbraccio senza fine.
Quelle mani che non si staccano dal corpo a cui lei si avvinghiò nei giorni lieti della sua gioventù.
E lo sguardo.
Gli occhi di un immenso languore ad accompagnare il suo Ettore verso la nuova avventura del povero emigrato che in una notte senza luci ( siamo nell’anno 50 del secolo ventesimo ) sale su quel pendolare che lo porta verso Genova via Milano.
Due ragazzi, l’amata sorella Etta e chi vi scrive, avvinghiati a mamma Nilde in un pianto disperato, le esprimono amore e affetto come possono fare due imberbi fanciulli nel saluto al padre adorato.
É una storia.
Solo una storia di quell’ umanità dell’Italia del dopo guerra uscita sconfitta e umiliata dall’avventura totalitaria.
A ciò ho pensato in questa notte da incubi.
Una, due, dieci volte.
Mi sveglio di soprassalto , fradicio di sudore.
L’assopirsi è stato quasi impossibile e nonostante qualche aiuto tranquillante.
Le notizie di quella maledetta giornata scuotevano testa e cervello.
Ogni minuto. Che dico? Ogni secondo aggiornava l’inferno apparso accanto a quell’isoletta sperduta nel cuore del mediterraneo.
É salito il mostro dall’abisso della terra.
Il mostro per cui l’immenso poeta, Il vate della nostra terra antica, trovò le rime
eterne della sua commedia divina.
Il mediterraneo, cuore e anima della nostra cultura.
Le cui onde udirono l’eco dei lamenti degli schiavi egizi nell’ immane fatica a cui li costrinse l’onnipotenza dei perfidi faraoni.
Il mediterraneo che udì Platone nell´’annuncio della civiltà dei giusti e uguali.
Il mediterraneo che accolse e accompagnò Pietro e Paolo verso la Roma dei Cesari.
Con in mano il verbo del Nazzareno destinato a cambiare il destino del mondo, riassunto , per me, in una sola parola : Amore, infinitamente amore.
É partita da Misurata, quella maledetta barcaccia carica di una umanità senza voce il cui urlo racchiude le vergogne del mondo.
Penso alle donne nel cui ventre custodivano un vita nascente.
E penso a quel bimbo, e quella bimba felici al tepore del grembo materno,sprofondati nell’immensità dell’abisso.
Il paradiso di una nuova vita, accanto all’inferno della perfidia umana.
Ti ho conosciuta, Misurata
Nel secolo scorso in cui, giovane tecnico, assolvevo a mansioni di edilizia civile.
Misurata, la città che accoglieva i negretti del Ciad al soldo dei kafiri( i capoccia del caporalato arabo) per un lavoro da sfruttamento bestiale per poi abbandonarli al loro miserevole destino.
Mi ribellai senza successo. E per ciò partii in cerca di lidi più umani.
Misurata, Marcinelle, e altro ancora.
In fondo, nulla é cambiato.
E forse sì.
Noi ,poveri disperati della diaspora italiana, di quell’ esodo di massa della nostra storia, abbiamo pianto i nostri morti e li serbiamo per sempre nei cuori.
Conserviamo una foto di volti, insieme tristi sorridenti, con le loro valige di cartone.
Quella di mio padre é dentro me. Mi accompagna ogni dove, conservata dal freddo che ha invaso il mio corpo nell’ora in cui se ne é andato.
Per loro , nulla.
Nessuno verrà a piangere sulle loro tombe.
Ma forse, il vento materno del ghibli attraverserà il deserto per portar seco il seme della loro terra.
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