Il super franco sta sconvolgendo la vita delle aziende, delle persone e anche della Svizzera. Le industrie che operano in Ticino o nelle altre zone di frontiera e che esportano in euro sono in difficoltà pur ricevendo commesse e non mancando di lavoro. A causa del franco forte annaspano, per cui, siccome lavorano in perdita, sono costrette a prendere provvedimenti: licenziare oppure aumentare la produttività chiedendo ai propri dipendenti più ore di lavoro senza aumento di paga. Non è una bella cosa per le aziende ma non lo è soprattutto per i lavoratori, i quali, pur di non perdere il posto di lavoro, in genere sono costretti ad accettare le nuove condizioni che li penalizzano. Il sindacato, ovviamente, non ci sta, ma è costretto a cedere limitando i danni, ad esempio accettando due ore in più al posto di cinque e per un periodo limitato. Insomma, una situazione che non sta bene a nessuno ma che tutti sono costretti ad accettare, appunto per limitare i danni. “La Svizzera non è responsabile della robustezza del franco, ma è costretta a subire le conseguenze del debito europeo”, ha detto Toni Brunner, presidente dell’Udc. Il franco è forte perché ad essere debole è l’euro. Ormai i supermercati al di là delle frontiere, in Italia, in Austria, in Germania e in Francia, sono presi d’assalto perché i prodotti in euro costano di meno e il franco pesante è un vantaggio. A rimetterci della buona salute dell’economia svizzera, in questo campo, sono paradossalmente le industrie e i lavoratori occupati in questo Paese.
Da lunedì scorso la Migros e la Coop, esattamente come in precedenza avevano fatto Denner e Manor, hanno abbassato i prezzi del 10 per cento circa, nel tentativo di arginare i danni. Non sappiamo se le misure raggiungeranno lo scopo, dipenderà dall’ampiezza del fenomeno e dalla durata di vita del super franco, ma ora la situazione è questa e non è allegra, anche perché nel frattempo ci sono almeno due altri fenomeni negativi nel mercato del lavoro e nell’economia elvetica: la tendenza al ribasso delle condizioni salariali e il lavoro nero, due fenomeni iniziati una decina di anni fa in sordina ma che poi si sono diffusi sempre di più. C’era una volta il miraggio della libera circolazione delle persone e delle merci, due emblemi del progresso della civiltà e della modernità. Con i trattati bilaterali chi nell’Europa dell’Est e nella ex Jugoslavia e regioni limitrofe stava peggio, anche per altri fattori politici, economici e contingenti, è venuto in “Occidente” e anche in Svizzera per stare, legittimamente, meglio, ma, ciò facendo, da una parte ha accettato condizioni peggiorative rispetto agli standard fino ad allora in vigore provocando risentimenti e contrasti con i “vecchi” occupati o quelli in cerca di lavoro, dall’altra ha peggiorato il sistema in generale, dapprima facendo fare affari agli imprenditori grazie ai minori costi della manodopera, successivamente diffondendo tra di essi la tendenza al lavoro nero e all’evasione fiscale.
Accanto agli indubbi vantaggi della libera circolazione delle persone e delle merci, adesso stiamo conoscendo anche l’altra faccia della medaglia, che è quella problematica, un po’ per tutti ma in modo particolare per i più deboli, col rischio che potranno stare peggio anche coloro che hanno accettato o accettano salari più bassi. Il mito della Svizzera di una volta resiste, perché in questo Paese il rispetto delle regole, della responsabilità, dell’efficienza e anche della trasparenza è sentito dalla popolazione, dalle istituzioni e dai loro rappresentanti, ma sta visibilmente perdendo colpi. Questo non significa rimpiangere i tempi passati, non avrebbe senso, significa affrontare i nuovi problemi e gestirli con prontezza, equilibrio e senso di responsabilità da parte di tutti i soggetti interessati. Che è poi quello che si sta facendo e che mostra come questo Paese, pur tra qualche evidente difficoltà, è sempre all’altezza del compito.