Non sappiamo se l’accordo Rubik sarà firmato tra l’Italia e la Svizzera entro il 21 di dicembre, secondo gli auspici della Confederazione. Il rinvio potrebbe essere determinato sia dalla complessità della materia, sia dalle dimissioni annunciate del premier Monti un minuto dopo l’approvazione della legge di Stabilità, sia, ancora, dalla bocciatura da parte del Bundesrat tedesco di un analogo accordo sulla scia di quello firmato con la Gran Bretagna e l’Austria e che entrerà in vigore il primo gennaio prossimo. Non sappiamo, dunque, se Rubik sarà firmato, ma ci auguriamo, per i conti italiani, che l’accordo venga stipulato il più presto possibile, anche perché il tempo gioca a favore degli evasori, i quali potrebbero rivolgersi – se nel frattempo non l’hanno già fatto – verso altri paradisi fiscali.
Ma c’è un altro motivo per cui sarebbe importante firmarlo il più presto possibile, ed è che fra non molto potrebbe essere superfluo e l’Italia potrebbe trovarsi con un pugno di mosche tra le mani. La notizia è recentissima e per gli evasori potrebbe essere un colpo. Il governo federale elvetico ha annunciato che all’inizio di gennaio 2013 verrà presentato un provvedimento di legge che obbligherà banche e finanziarie a chiedere ai loro clienti stranieri che il denaro depositato sia “fiscalmente corretto”. La svolta esiste per davvero, perché le banche e le finanziarie, per un codice deontologico di autoregolamentazione o per obbligo di legge può, anzi, è tenuto a rifiutare depositi che non siano stati dichiarati nel Paese d’origine e di cui non ci sia documentazione adeguata. La Svizzera, dunque, pur mantenendo il segreto bancario, rinuncia ad essere paradiso fiscale.
Certo, tra il dire e il fare c’è, come si dice, di mezzo il mare, ma è innegabile che di svolta si tratta, anche perché le stesse regole stanno per essere introdotte anche in altri paradisi fiscali come quello di Singapore. Il governo elvetico ha annunciato la presentazione di un provvedimento specifico, ma da qualche tempo, stando alle dichiarazioni dei portavoce delle grandi banche, simili misure erano già state assunte autonomamente dalle banche per una sorta, appunto, di codice di autoregolamentazione. L’Associazione dei banchieri elvetici ha già annunciato che accetterà solo denaro “pulito”. La dichiarazione di Rebeca Garcia, portavoce di Swissbanking, non lascia spazio ad equivoci: “Abbiamo scelto di non fare più distinzione tra riciclaggio ed evasione fiscale. La nuova strategia della nostra piazza finanziaria è quella di accettare solo “denaro bianco. Gli istituti di credito hanno la facoltà di non prendere in carico soldi la cui provenienza non sia chiara o che possano scaturire da una frode fiscale. Allo stresso modo verrà rifiutata l’istituzione di trust, fondi o l’apertura di conti in altri Paesi se non accompagnata da adeguate spiegazioni”.
La svolta operata dal governo elvetico è stata dettata da almeno tre motivi. Il primo è che la Svizzera, con il suo segreto bancario e con la capacità di mantenerlo aveva attirato fondi di dubbia provenienza o comunque evasi all’estero, guadagnandosi il titolo poco simpatico di “paradiso fiscale”. Il secondo è che per questo la Svizzera era nella lista nera degli Stati canaglia e la fama non è di quelle che fanno piacere. La Svizzera voleva a tutti i costi scrollarsi di dosso questa nomea. Il terzo è che a premere su Berna c’erano organismi internazionali come l’Ocse e il Gafi a cui non si poteva dire di no. Fatti due conti, alla Svizzera conviene mettersi in regola e comportarsi di conseguenza.
Tutto ciò, evidentemente, non esclude anche la firma degli accordi Rubik con gli altri Stati, tra cui l’Italia.