Dal 1° luglio più italiano in Svizzera. È stata approvata infatti la legge sulle lingue che vede un rafforzamento delle lingue minoritarie all’interno dell’Amministrazione Federale. L’ordinanza d’applicazione è stata emessa venerdì 4 giugno dal Governo federale che ha deciso di stanziare a tal fine 15 milioni di franche all’anno. Verranno altresì istituiti 16 posti di traduttore, soprattutto di lingua italiana ed un posto di delegato al plurilinguismo per un costo totale di 2, 5 milioni. La legge, presente nell’articolo 70 della Costituzione, disciplina l’uso delle lingue ufficiali, tedesco, svizzero ed italiano, e garantisce una migliore promozione della comprensione e degli scambi tra le diverse comunità linguistiche. In modo particolare la legge si rivolge alla promozione del plurilinguismo all’interno dell’Amministrazione federale, punto molto dibattuto ultimamente e sostenuta soprattutto dalla Deputazione Ticinese che il 1° di giugno ha presentato un appello a favore del plurilinguismo. La composizione linguistica del personale dell’Amministrazione svizzera è stata oggetto di studio del Programma Nazionale di Ricerca 56 promosso dal Fondo Nazionale della Ricerca Scientifica, per capire meglio la situazione abbiamo parlato con il professore Kübler dell’università di Zurigo che si è occupato della ricerca.
Ci parli della ricerca su cui ha lavorato e cosa l’ha spinta ad interessarsi alla questione?
Si tratta di una ricerca sul fenomeno del plurilinguismo nell’Amministrazione federale, quindi è stato uno studio richiesto per il fondo nazionale. Personalmente il fenomeno mi ha sempre interessato: io sono svizzero tedesco ma ho svolto tutti i miei studi nella Svizzera romanda. Qui ho notato che c’è una realtà in cui tanti svizzeri non capiscono bene il tedesco per cui ci sono problemi di comprensione; la stessa cosa ho notato durante il servizio militare nel corso del quale mi sono trovato in una situazione altamente plurilinguistica che creava anch’essa difficoltà di comprensione. Infatti, le nostre competenze linguistiche ci permettono di capire ciò che si dice nelle altre culture ma la Svizzera, per sua natura, ha una varietà linguistica così grande che la difficoltà di comprensione tra le varie comunità culturali che la abitano è maggiore rispetto a molti altri Paesi. Questo è un problema che mi ha sempre affascinato ed è per questo che mi sono lasciato coinvolgere nel suo studio.
Quali sono stati gli obiettivi principali della ricerca?
Siamo stati chiamati a rispondere a due problematiche principali: una sulla rappresentatività linguistica, cioè sapere come il personale pubblico rifletta la varietà linguistica della società più ampia, l’altra sulla prassi linguistica all’interno dell’amministrazione. In altri termini, nel primo caso si è trattato di determinare il numero dei lavoratori di questa o quella madrelingua, mentre il secondo obiettivo era quello di stabilire nello specifico quanto le minoranze linguistiche possano effettivamente usare le loro lingue in ambito lavorativo. In realtà sono dei punti non nuovi, cioè esistono già su carta, legalmente, però si sa che la loro messa in atto è molto difficile. Nella Costituzione federale, infatti, ci sono varie ordinanze e leggi che indicano che tutte le tre lingue principali sono ufficiali e nessuna di esse è più importante dell’altra. Allo stesso modo esistono leggi in cui è specificato che il personale federale può usare la sua lingua madre quando questa è una delle tre lingue ufficiali.
A cosa si deve la supremazia del tedesco sull’italiano ed il francese?
È semplicemente un fenomeno matematico che riguarda la proporzione dei germanofoni che è maggiore rispetto francofoni e italofoni. Nel nostro studio si evidenzia che a causa di questo disequilibrio si creano circoli viziosi di discriminazioni sulle due minoranze.
Quali problemi possono scaturire da una tale situazione per la società italofona?
Riguarda soprattutto il campo lavorativo. Risulta infatti più difficile per le minoranze, e quindi anche per gli italofoni, riuscire ad entrare nell’Amministrazione federale e soprattutto di avanzare ai livelli superiori.
Ciò vuol dire che gli interessi regionali non possono essere rappresentati come e quanto dovrebbero nei processi di decisione: c’è quindi un problema di sottorappresentazione delle minoranze linguistiche anche per quanto concerne i progetti politici, la legislazione e quant’altro.
Recentemente è stato presentato al Consiglio federale un appello a favore del plurilinguismo nell’Amministrazione federale. Da studioso del caso, secondo lei, che benefici porterebbe l’applicazione di tali richieste alla comunità italofona?
Sulla base della nostra ricerca ho visto che si dovrebbe fare molto. Per esempio, abbiamo visto che un problema serio riguardante l’uso delle lingue delle minoranze, soprattutto l’italiano, è la scarsa competenza linguistica soprattutto dei germanofoni. L’italiano, infatti, non lo capisce nessuno all’infuori degli italofoni stessi che quindi devono parlare un’altra lingua. Bisognerebbe aumentare la competenza linguistica in francese per i germanofoni e in italiano sia per i germanofoni che per i francofoni.
Quali potrebbero essere delle soluzioni per rivalutare l’italiano?
Intanto da 10 anni la Confederazione ha abolito i corsi di lingua e la prima cosa da fare sarebbe ripristinarli.
Inoltre, abbiamo anche visto che la formazione del personale non può avere deficit di competenze linguistiche derivanti dalla formazione scolastica. La cosa si accentuerà con la valorizzazione dell’inglese invece che del francese e dell’italiano nelle scuole primarie e secondarie. Se si vuole proteggere il plurilinguismo nell’Amministrazione federale si deve rivedere anche il contesto scolastico e rafforzare l’insegnamento delle lingue nazionali nelle scuole. Perché si deve fare per forza una scelta tra inglese e italiano? Si possono studiare entrambe. La conoscenza delle lingue è un vantaggio per qualsiasi individuo ed è stato dimostrato che il salario medio aumenta con l’aumentare delle competenze linguistiche che, di conseguenza, possono essere una vera e propria ricchezza. Non è solo una questione che riguarda la salvaguardia della nostra tradizione plurilinguista ma bisogna considerarla anche un vero e proprio investimento per il futuro.
Eveline Bentivegna
1 commento
Benvenga una valorizzazione e una maggior presenza della lingua italiana all’interno dell’amministrazione federale.
Il progetto di ripristino dell’insegnamento della lingua italiana nelle scuole potrebbe essere interessante. Non credo però che poche ore settimanali – perché più di 2/3 ore coi programmi scolastici attuali sono impensabili – possano aumentare il livello di conoscenza di una lingua a tal punto da poter essere usata con competenza nell’amministrazione federale, e non solo.
A meno che torni la facoltà di decidere quale lingua studiare, quindi a scapito del francese o dell’inglese, se ci si trova nella regione di lingua tedesca.
Teniamo presente che i nostri figli già imparano inglese, francese e tedesco. Fuori dalla scuola parlano lo svizzero-tedesco e/o altre lingue: Tante un po’, o poche bene?
Magari si potrebbe creare un progetto tipo Erasmus a livello Svizzero per le medie. Un mese di scuola italiana in Ticino. E viceversa.
La Svizzera è un Paese plurilinguistico ma con regioni linguistiche ben precise: solo nei paesi di frontiera linguistica-regionale parlano più di una lingua. Negli altri ognuno parla solo la propria.
Sono molto contenta comunque che sia dia in qualche modo più spazio alla nostra lingua.
anele mattioli