Le opposizioni sono scese nelle piazze dopo l’assassinio di Chokri Belaid e protestano contro la dittatura
Dal suo esilio dorato in Arabia Saudita la rabbia di Ben Alì si deve essersi un pochino sbollita e aperta al sorriso, un sorriso amaro ma pur sempre un sorriso. Lui, invece, Chokri Belaid, leader dell’allora opposizione proprio a Ben Alì, che pensava di opporsi ad un dittatore per liberare il Paese e consegnarlo finalmente alla democrazia, se potesse parlare, certamente si pentirebbe in qualche modo di aver aiutato proprio coloro che, una volta andati al potere dopo la “primavera araba”, lo hanno ammazzato pagando dei sicari. Insomma, in Tunisia cacciarono Ben Alì, dittatore, certo, seppure un po’ all’acqua di rose, e ci fu chi fece a gara per sostituirsi a lui. Tutto iniziò il 17 dicembre del 2010, quando il giovane disoccupato Mohammed Bouazizi si diede fuoco per protesta. Il fatto fece divampare la protesta in tutta la Tunisia e quando Ben Alì si accorse che l’esercito non lo sosteneva, fuggì con la sua famiglia in Arabia Saudita, dove si trova tuttora. Uno dei capi della rivolta, insieme agli islamisti – democratici quando sono all’opposizione, dittatoriali quando sono al governo – fu proprio il laico Chokri Belaid, che con la sua autorevolezza e il suo carisma fece pendere il piatto della bilancia verso la svolta.
Si sa poi come è andata a finire. Ennahda, il partito degli islamisti, a parole moderati, vince le elezioni e guida il governo con Hamadi Jebali; presidente tunisino è il leader del Congresso per la Repubblica, Moncef Marzouki, centrosinistra laico, che però governa anche con il Movimento della Rinascita, islamici conservatori. Cosa succede in Tunisia? Succede che la promessa libertà non è mai venuta e le opposizioni, tra cui, appunto, il leader della sinistra laica, Chokri Belaid, non sono contenti di come la situazione è andata evolvendo. Dall’insediamento del nuovo presidente e del nuovo governo c’è stata una continua escalation di minacce da parte dei sostenitori dei partiti al governo, al punto che apertamente molti imam chiedevano apertamente che Chokri Belaid, fosse ammazzato. E così è stato.
Il leader di Ennahda, Rachid Ghannouchi, ha dichiarato all’indomani dell’omicidio: “Gli assassini di Chokri Belaid vogliono un bagno di sangue in Tunisia, ma non ci riusciranno”. In realtà, l’assassinio è maturato negli ambienti filogovernativi e islamici, suscitando un’ondata di proteste in tutto il Paese. Il capo del governo, Hamadi Jebali, ha proposto, per calmare la piazza e il malcontento, che il suo governo si dimettesse per formarne uno nuovo composto da una coalizione di transizione per andare a nuove elezioni, ma il partito di Ennahda ha rifiutato la proposta ed è scontro dappertutto.
Ecco quello che ha dichiarato la moglie di Hamadi Jebali, Basma Khalfaani, 42 anni: “Ma ci pensa? Siamo al punto che gli attivisti dell’opposizione democratica sono più a rischio ora, quando denunciano la violenza degli estremisti islamici, che non ai tempi delle battaglie contro la dittatura di Ben Alì. Allora ci mettevano in carcere, al peggio ci picchiavano, ma oggi ci uccidono senza pietà per la strada, come è accaduto a mio marito”. La moglie della vittima, però, non si perde d’animo e cavalca la protesta, fiduciosa che prima o poi la libertà, quella vera, arrivi presto: “Pure, non perdo le speranze nella giustezza della nostra primavera araba di due anni fa. Non è il capolinea, ci troviamo nel mezzo di un complesso processo politico. La reazione spontanea delle piazze dimostra che esiste una Tunisia sana, pronta a combattere per la libertà. Ciò prova che mio marito non è morto invano. I prossimi giorni ci vedranno rilanciare la nostra guerra contro i radicali religiosi”.
Come al solito, l’assassinio è denunciato da tutte le parti, però c’è chi denuncia pur sapendo che i killer provengono da una parte ben precisa. Secondo Basma, “Ennahda protegge e sostiene gli estremisti islamici. A parole condanna il terrorismo, ma nei fatti i sicari di mio marito sono figli suoi”. Ed ora due sono le prospettive: o la primavera araba atto secondo oppure la repressione e la dittatura.