Due milioni di persone in piazza e 22 milioni di firme chiedono le dimissioni del presidente Morsi
La Turchia, salvo smentite dell’ultima ora, sembra essere uscita dall’emergenza scontri di piazza che negli ultimi dieci giorni erano ripresi con la stessa intensità dei primi tempi. Per l’entrata in Europa gli esami non finiscono mai, se ne riparlerà in autunno. Da Israele, intanto, viene una notizia che, per quanto non nuova, potrebbe essere uno spiraglio per la soluzione dei due Stati-due popoli. Il premier Netanyhau avrebbe annunciato a John Kerry che sarebbe disposto a rinunciare al 90% dei territori occupati in cambio della sicurezza, per cui il futuro Stato palestinese dovrebbe essere demilitarizzato. Le buone notizie finiscono qui, perché nel tunnel delle proteste più o meno violente ci sta rientrando l’Egitto, dove è di nuovo caos proprio nella data in cui i Fratelli Musulmani festeggiano il primo anniversario dell’elezione di Mohammed Morsi alla presidenza dell’Egitto. Gli scontri, infatti, riguardano da una parte i sostenitori di Morsi, cioè i Fratelli Musulmani, dall’altra i suoi avversari, laici e moderati, che mal sopportano l’accentramento del potere nelle sue mani e che comunque sono avversi ad un potere religioso. Ad Alessandria sono morte tre persone, tra cui un americano di 28 anni ucciso da una coltellata, più di 140 sono stati i feriti, colpiti da proiettili a pallettoni. Le piazze sono contrapposte. C’è Piazza Tahrir, dove si radunano gli oppositori e chiedono le dimissioni di Morsi e c’è il piazzale davanti alla moschea Rabaa el Adaweya, dove convergono i sostenitori del presidente. I manifestanti contro Morsi lo accusano non solo di autoritarismo, non solo di aver spaccato in due l’Egitto, ma anche di aver trascinato il Paese in una crisi acutissima. La gente non ne può più di tasse e di disoccupazione. Ad Alessandria sono state date alle fiamme alcune sedi della Fratellanza e il bilancio delle vittime erano già cinque, tra cui un americano accoltellato. Alcuni dicono che l’americano accoltellato fosse un insegnante, altri un cameraman free-lance di un’emittente Usa. Fatto sta che è stato ucciso e il consolato americano reclama indagini veloci e scrupolose.
Le due piazze erano stracolme di decine di migliaia di partecipanti, per cui ogni parte si arroga il diritto di rappresentare tutto il Paese. Ovviamente, i Fratelli Musulmani, dialetticamente parlando, hanno buon gioco ad accusare i protestatari di voler il ritorno di Hosni Mubarack e li chiamano “teppisti”. A Piazza Tahrir sono state distribuite foto dell’ex Rais deposto, ma è probabile che si sia trattato di un depistaggio ad opera dei Fratelli Musulmani stessi.
Tra i leader delle opposizioni c’è anche Mohamed el Baradei, ex ispettore capo dell’Aiea (Agenzia internazionale per il controllo dell’energia atomica), il quale ha cercato di calmare la situazione facendo appello alla non violenza (“Più pacifici siamo, più forti diventiamo”), ma è difficile far ragionare chi non vuole ragionare. Due testimoni valgano per tutti. Una, Fatma, ingegnere a piazza Tahrir con la bandiera egiziana, ha detto: “Sono musulmana ma non voglio Morsi. Ha spaccato il Paese e il suo discorso le sembra degno di un presidente della Repubblica?”, l’altra Hamza, funzionario pubblico dei Fratelli Musulmani: “Voglio dare il mio sostegno a Morsi, alla sua legittimità di presidente eletto dalla maggioranza degli egiziani. Voglio difendere la rivoluzione dall’ancien régime che vuole tornare al potere in coalizione con l’opposizione”. Intanto il risultato degli scontri sono stati cinque morti e la raccolta di 22 milioni di firme contro il presidente. Domenica, forti delle firme raccolte, i manifestanti sono scesi in piazza, c’erano oltre due milioni di persone, una marea mai vista. Morsi ha ripetuto: “Non me ne vado”, esattamente come fece Mubarack a suo tempo.
Siamo ad un punto di volta, se gli scontri si tramutano in azioni di violenza saranno i militari ad intervenire, per far rispettare l’ordine e per proteggere la sicurezza e il bene di tutti. Sarà comunque difficile arginare una protesta che non ha solo i connotati di una vastissima opposizione al fanatismo religioso, ma che reagisce anche ad una crisi economica che rischia di travolgere tutti.