Il 19 marzo 2003 gli Stati Uniti di George Bush invasero l’Iraq di Saddam Hussein, con la motivazione che proteggeva i terroristi islamici, massacrava i curdi e possedeva ingenti quantitativi di armi di distruzione di massa. La guerra è durata circa dieci anni. L’Iraq di oggi è caduto sotto l’influenza iraniana ed è diventato terreno di attentati sanguinosi ad opera soprattutto dei sunniti che con l’impiccagione di Saddam sono in guerra con gli sciiti. Quanto alla democrazia che gli americani volevano esportare in quelle latitudini, ora esiste solo un pallido ricordo delle due elezioni a partecipazione popolare avvenute sotto l’occupazione della forza multinazionale di pace. La guerra in Iraq, come si ricorderà, fu dichiarata senza il consenso dell’Onu (solo nel 2004 a “mission accomplished” l’Onu diede il via libera con la risoluzione n. 1546 ad una forza multinazionale di pace).
In questi giorni, Obama si appresta a chiedere il consenso al Congresso per un attacco alla Siria. Al momento in cui scriviamo non sappiamo se lo avrà (come è probabile) o se verrà rifiutato. Sappiamo, però, che Obama è intenzionato a dare una lezione a Damasco con “raid limitati” anche in assenza del sì del Congresso e comunque senza una risoluzione dell’Onu (veto della Russia e della Cina).
Nel 2003 le piazze delle città di tutto il mondo si riempirono di pacifisti che protestavano contro l’America di Bush. Oggi quelle stesse piazze sono vuote, il variegato mondo dei pacifisti, di fronte all’attacco minacciato e voluto, seppure a malincuore, da Obama, si è evaporato. Eppure, allora come oggi, l’Onu non ha dato nessuna autorizzazione. Si vede che un certo pacifismo obbedisce ad una logica tutta politica e ideologica, in base a chi attacca.
Si è scoperto poi che Saddam Hussein non aveva affatto le armi di distruzione di massa che i servizi segreti avevano documentato. Erano prove false. La guerra, come si sa, doveva essere una guerra lampo e invece è durata più di dieci anni. Gli ispettori dell’Onu hanno già terminato la loro missione in Siria per verificare la causa della morte di circa 1400 civili di un quartiere di Damasco, ma già si sa che diranno solo se la causa della strage sia dovuta all’impiego del gas o meno, non diranno chi l’ha impiegato: se il regime o gli oppositori.
Oggi, alla luce delle esperienze sanguinose e fratricide fatte in Libia, Tunisia e in Egitto, prima di sferrare un attacco ad un Paese musulmano bisognerebbe pensarci su non una ma mille volte e poi si dovrebbe scegliere comunque la via del dialogo, della trattativa, della pace. Tanto più la dovrebbe scegliere Barack Obama che, non dimentichiamolo, dovrebbe onorare quel Premio Nobel per la Pace ottenuto l’anno dopo della sua elezione senza particolari meriti acquisiti sul campo. Ritornando al pacifismo sparito dalle piazze, esso ha fatto il suo tempo, e non poteva che essere così: non è credibile un movimento che protesta contro la guerra in base a chi la dichiara.
Oggi vero ed autentico interprete della pace – cioè non di un pacifismo generico e folcloristico, ma della pacificazione, che è una conquista della coscienza – è la Chiesa di Papa Francesco, che ha invitato al digiuno e alla veglia i cristiani e i non cristiani di tutto il mondo, nonché i seguaci di altre religioni e tutti quelli “di buona volontà”. La risposta sono stati i tanti milioni di persone che hanno aderito silenziosamente nelle loro case e nelle chiese di tutto il mondo, oltre che le centomila persone che in Piazza San Pietro “senza alcuna bandiera”, come nota il Corriere della Sera, hanno innalzato canti ed inni, con “quel rito potente anche per chi non crede”.
Se il congresso Usa dirà no all’attacco, se l’attacco sarà bloccato, la voce del Papa e dei milioni di pacificatori di questo mondo non sarà estranea a questa saggia ed auspicabile decisione; se, invece, l’attacco ci sarà, vorrà dire che quei “canti ed inni” comunque non saranno stati inutili, dovranno solo moltiplicarsi sempre di più, fino a che la loro eco non sarà penetrata nelle coscienze dell’umanità.