All’indomani dell’atto terroristico di Milano compiuto dal kamikaze libico Mohamed Game, rimasto seriamente ferito dallo scoppio anticipato della bomba davanti alla caserma, il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha lanciato l’allarme sul rischio attentati terroristici in Italia.
Il ministro ha precisato che da noi Al Qaeda non c’è, ma che gruppi che si formano sul territorio possono compiere attentati.
L’allarme di Maroni sembra essere confermato dal fatto che Mohamed Game non era solo, era appunto aiutato da complici balordi come lui che, insieme, non solo avevano un obiettivo ben preciso, la caserma di piazzale Perrucchetti, ma avevano un archivio – scoperto successivamente e di cui si è dato notizia la settimana scorsa – nel quale erano custoditi dossier contenenti informazioni sul premier, sul presidente della Camera e sul ministro della Difesa. Basterebbe già questo per dimostrare la fondatezza dell’allarme del ministro Maroni, ma subito dopo è sopraggiunto il “rinforzo” degli arresti di un gruppo di criminali algerini che, a detta della magistratura, in un primo momento si erano attivati nella raccolta di fondi inviati alle organizzazioni terroristiche, poi nelle falsificazioni di documenti che servivano per clandestini in tutta Europa, i quali, all’occorrenza, potevano fungere da riserva di manodopera da utilizzare negli attentati.
In realtà, Mohamed Game non era un clandestino, ma un immigrato con regolare permesso da molti anni e sposato con un’italiana, presente nella moschea di Milano e attivo nelle manifestazioni di piazza, come si è scoperto in seguito mettendo a fuoco le riprese panoramiche e casuali delle televisioni. Regolari e integrati erano anche i terroristi di Londra e di Madrid, autori di stragi, e addirittura in servizio nell’esercito degli Stati Uniti con il grado di maggiore era Nidal Malik Hasan, il killer di Fort Hood, che ha massacrato 13 commilitoni, ferendone altri 30 prima di essere bloccato.
Questi ed altri casi meno noti o di cui si è persa l’attualità del ricordo – insieme alle ultimissime e serie minacce al premier, che hanno imposto a lui e alla sua scorta misure eccezionali – dimostrano che è sbagliato sottovalutare l’allarme o ridurlo a semplice elemento di scontro politico, allo stesso modo come è sbagliato colpevolizzare l’immigrazione in generale.
Ciò significa di conseguenza da una parte che le istituzioni e in particolare l’intelligence e le forze dell’ordine non devono abbassare la guardia, ma vigilare, dall’altra che la politica dell’immigrazione va gestita con serietà, all’insegna dell’accoglienza ma anche del rigore, in base alle capacità di offrire lavoro, stipendio, casa e integrazione.
La politica delle porte aperte senza nulla garantire in termini di lavoro e di retribuzioni può anche far fare bella figura di fronte alla propria coscienza, ma si rivela positiva solo all’apparenza; di fatto, però, si rischia di infoltire le schiere di coloro che poi sono facile preda dei gruppi criminali.
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