Vari comuni e Istituzioni aderiscono all’appello per la liberazione di Francesco Azzarà, l’operatore dell’ong
Sono passate due settimane dal rapimento di Francesco Azzarà, il logista di Emergency sequestrato a Nyala, in Darfur, il 14 agosto scorso. Da allora non se ne hanno notizie. Dopo un iniziale periodo di riserbo, d’accordo con la famiglia, Emergency ritiene che sia il momento di rinnovare l’attenzione su Francesco e chiede ai cittadini, ai media e alle istituzioni italiane di mobilitarsi per la sua liberazione, esponendo la sua foto sui palazzi delle istituzioni e partecipando e rilanciando le iniziative che l’associazione umanitaria organizzerà. Dal 23 agosto scorso un grande striscione con la foto di Azzarà è esposta sul terrazzino di Palazzo Vecchio (lato piazza Signoria), sede del Comune di Firenze. Sullo striscione compare la scritta «Liberate Francesco». Era il 14 agosto quando Emergency denunciò il rapimento di Francesco Azzarà, calabrese di 34 anni, alla sua seconda missione, sequestrato a Nyala, capitale del Sud Darfur, la regione del Sudan dilaniata da anni dalla guerra civile.
Da fonti dell’intelligence sudanese si è poi appreso che l’italiano è stato rapito da una milizia nomade: i Rezegat. Alle 17, ora locale, di quel 14 agosto, la macchina di Emergency sulla quale si trovava Francesco è stata fermata da un commando di uomini armati. Azzarà, che viaggiava con due colleghi verso l’aeroporto, era l’unico straniero a bordo. Il suo sequestro ha lasciato sconcertato il fondatore di Emergency, Gino Strada. “Sono frequenti i rapimenti e le violenze nella regione, ha detto Strada, ma l’ospedale è benvisto”. Non chiaro, infatti, il movente del gesto, tanto che si stanno ancora seguendo diverse piste. Azzarà è prigioniero di una tribù nomade, araba e filogovernativa, i Rezegat, una milizia tristemente famosa per le violenze compiute a danno dei civili darfuriani; i Rezegat hanno spesso affiancato i temibili janjaweed, (i cosiddetti “diavoli a cavallo” che terrorizzano le popolazioni civili), colpevoli di innumerevoli omicidi, stupri, razzie in tutta la regione. Un’unità di crisi è stata attivata immediatamente dopo il sequestro e l’ambasciatore italiano a Khartoum, Roberto Cantone, è rientrato in Sudan per occuparsi personalmente della delicata vicenda.
I rapitori si sono fatti vivi con il governatore Abdulahmid Musa Kasha chiedendo un riscatto, come confermato direttamente dall’ufficio del governatore a Nyala. La tribù araba filogovernativa Rezegat che tiene prigioniero Azzarà è infatti la stessa cui appartengono il governatore e il suo vice Abdul Karim Mussa. Proprio Abdulahmid Musa Kasha fu rapito infatti dai suoi stessi uomini. Prima degli accordi di pace con il Sud Sudan, il suo compito era di reclutare sanguinari miliziani ‘janjaweed’ e di spedirli a combattere contro quelli che allora erano i ribelli del Sud su promessa di una grande somma di denaro. Ma la promessa non fu rispettata e scattò la ribellione. Kasha arrivò in elicottero per calmare gli animi e trattare una riduzione dei compensi, ma quelli non ne vollero sapere e lo sequestrarono. Ci fu bisogno di un altro elicottero, spedito dal governo di Khartoum, carico di denaro che lui distribuì personalmente, prima di essere rilasciato. Si pensa che Francesco sia tenuto prigioniero nello stesso luogo in cui fu trattenuto il governatore, che adesso, insieme al suo vice, sta trattando per il rilascio dell’operatore di Emergency. “Questo rapimento è solo l’ultimo di una serie di episodi che portano alla luce quanto denunciamo da tempo: la situazione in Darfur è più grave che mai – ha commentato Antonella Napoli, giornalista africanista e presidente di Italians for Darfur –. È un sequestro anomalo maturato in un contesto ambientale che dovrebbe essere sotto il controllo governativo”.
Azzarà, laureato in economia e specializzato in commercio estero, è alla sua seconda missione in Darfur come logista del Centro pedriatico aperto da Emergency a Nyala nel luglio 2010. Il centro, completamente gratuito – come del resto tutti gli ospedali di Emergency – si aggiunge agli altri tre aperti dall’organizzazione italiana in Sudan, che è presente nello stato africano dal 2004. Ad oggi Emergency ha curato quasi 180 mila persone in tutto il paese.