Tra metà marzo e fine aprile 2020, agli studi medici è stato vietato realizzare interventi e trattamenti non urgenti. In quel mese e mezzo, il 73% degli studi hanno constatato una riduzione dell’attività, mentre il 9% ha temporaneamente chiuso i battenti. Gli studi che praticano medicina specialistica con attività chirurgica sono stati quelli più colpiti; l’attività del 94% di loro è stata ridotta o interrotta. Questa situazione ha interessato il 66% degli studi di psichiatria, il settore di attività che meno ha subito l’impatto della pandemia.
Ripresa contrastante delle attività a partire da maggio
Alla fine di aprile sono state revocate le restrizioni delle attività ordinate agli studi medici. Tuttavia le loro attività sono tornate solo in parte alla normalità. Tra maggio e ottobre 2020, il 48% degli studi medici ha ripreso un livello di attività simile o superiore a quello registrato in un anno normale. Per il 46% di loro, invece, il livello di attività è rimasto inferiore al normale. Gli studi di medicina specialistica con attività chirurgica sono stati quelli più colpiti; per il 59% di loro l’attività si è mantenuta inferiore a quella svolta in un anno normale. Questa situazione ha interessato solo il 28% degli studi medico-psichiatrici, facendo della psichiatria l’ambito meno toccato dalla crisi.
L’attività di nove studi medici su dieci ridotta tra marzo e ottobre
Nell’intero periodo da marzo a ottobre 2020, l’attività dell’88% degli studi medici ha risentito delle conseguenze della pandemia di COVID-19. Per il 49% degli studi medici l’attività è stata ridotta o interrotta tra la metà di marzo e la fine di aprile, quando gli interventi e i trattamenti non urgenti erano proibiti, ed è poi rimasta inferiore a quella di un anno normale tra maggio e ottobre. Per il 39% degli studi medici, l’attività è stata ridotta tra la metà di marzo e la fine di aprile, ma è tornata alla normalità o addirittura aumentata tra maggio e ottobre. Solo il 12% degli studi medici ha potuto mantenere tutto il tempo un livello di attività normale o aumentarlo.
Un terzo degli studi medici ha fatto ricorso al lavoro parziale
Gli aiuti sotto forma di liquidità e il lavoro ridotto sono state le misure utilizzate più spesso per affrontare le difficoltà economiche legate alla pandemia. Tra marzo e ottobre 2020, il 35% degli studi medici ha fatto ricorso al lavoro ridotto per i propri dipendenti o per altre persone aventi diritto. Il 18% degli studi medici ha beneficiato di aiuti sotto forma di liquidità quali i prestiti COVID. Solo il 2% degli studi ha dovuto licenziare personale.
Le persone che lavoravano in proprio, più colpite, sono state anche quelle più aiutate
Il 60% dei medici indipendenti che hanno interrotto temporaneamente la propria attività tra la metà di marzo e la fine di aprile 2020 e che tra maggio e ottobre 2020 non hanno recuperato il livello di attività di un anno normale ha fatto ricorso ad almeno una di queste misure: lavoro ridotto, aiuti sotto forma di liquidità o indennità per perdita di guadagno. La quota si attesta al 51% per i medici indipendenti che tra marzo e ottobre avevano un grado di attività inferiore al normale senza però interromperla, e al 36% per quelli che hanno ridotto l’attività solo tra la metà di marzo e la fine di aprile o per i quali per tutto il periodo da marzo a ottobre l’attività è rimasta a un livello simile a quella di un anno normale.
Sostegno all’attività degli ospedali
Nella fase iniziale della pandemia l’attività degli ospedali è stata particolarmente intensa, con un afflusso consistente di pazienti. Dalla metà di marzo alla fine di aprile 2020, nel 14% degli studi medici uno o più medici hanno ridotto o interrotto temporaneamente l’attività per dare man forte negli ospedali. Gli studi medici della Regione del Lemano e dell’Espace Mittelland sono quelli che maggiormente hanno fornito sostegno in questo senso, nella misura rispettivamente del 18 e 16%.
UST