Anche le leggi economiche sono attraversate da corsi, ricorsi, ed aspettative di soluzioni.
Vale la pena di sottolineare la coincidenza che a Roma il governo di Mario Draghi affondava proprio mentre Christiane Lagarde, che a lui è succeduta come Presidente della Banca Centrale Europea-BCE, a Francoforte annunciava un deciso cambio di rotta nella politica dei tassi di interesse per tutta la eurozona.
Lasciamo la classe politica italiana a preparare le sue prossime elezioni; occupiamoci invece perché e cosa viene ad essere cambiato delle decisioni di BCE.
Innanzitutto i tassi di interesse “sulle operazioni di rifinanziamento principali, dei rifinanziamenti marginali e sui depositi presso la BCE sono innalzati rispettivamente dello 0.5%, 0.75% e portati allo 0.00%”.
Per chi non è del mestiere: è aumentato il costo sia dei prestiti bancari overnight, a brevissimo termine, e sia di quelli a breve, per il giorno successivo; mentre il parcheggio di liquidità nella cassaforte di BCE non sarà più scoraggiato da un interesse negativo.
Traduciamo il tutto per i privati: il denaro costerà di più per le banche, e dunque anche per noi consumatori.
Ma perché? Innanzitutto, un aumento dei tassi di interesse era dovuto: la Direzione Generale degli Affari Finanziari del governo di Bruxelles, di cui BCE è proprio il dipartimento bancario, recentemente ha avvertito che la inflazione europea sta per superare l’8.4% annuo.
Questo non è che il punto di arrivo di un percorso iniziato anni fa.
Come le sue corrispondenti sparse per il mondo, anche la banca centrale europea ha cercato di superare la crisi borsistica del 2008 immettendo sui mercati liquidità abbondante ed a tasso irrisorio.
Era urgente evitare che il crollo dei listini, cioè della economia finanziaria, si trasformasse in un collasso del sistema industriale, leggasi: del ciclo produttivo.
Tuttavia ancora nel 2012 Portogallo-Italia-Irlanda-Grecia-Spagna, subito soprannominati PIIGS, erano in una situazione critica.
In particolare i mercati interpretavano la debolezza dei rispettivi sistemi industriali come fatale per il rimborso dei corrispondenti debiti pubblici; perché se le aziende non producono lo stato non incassa e tutto si blocca.
Questo poi non é che l’inizio di un’altra discesa pericolosa: si allarga il differenziale di interesse, lo spread, con i titoli di stato delle nazioni più solide; aumenta il costo dei finanziamenti per l’industria privata, che inevitabilmente riflette il rischio creditizio dello stato in cui si trova; infine aumenta la opposizione dei paesi con i conti in ordine, che non vogliono fare cassa comune.
A complicare il tutto c’è il fatto che, allora come oggi, i meccanismi comunitari per funzionare richiedono il consenso unanime degli stati membri.
Toccò a Mario Draghi, che allora ne era il presidente, risolvere il problema ed annunciare che BCE per salvare l’economia della eurozona era pronta ad intervenire ad ogni costo: “whatever it takes”.
E siccome ogni promessa è debito, BCE avviò una serie di provvedimenti.
Innanzitutto grazie alle Outright monetary transactions-OTM l’istituto di Francoforte sussidiava i paesi in difficoltà con finanziamenti indiretti, ovvero comprando debito pubblico a breve scadenza, e ricomprandone altro sinché necessario, in modo circolare.
Diverso invece era il meccanismo del Quantitative Easing-QE: la BCE acquistava debito pubblico che poi conservava in cassaforte.
Risultato: l’offerta dei titoli del debito pubblico cresceva perché c’era sempre domanda da parte di BCE; per lo stesso motivo il loro tasso di interesse diminuiva, perché sintanto che i banchieri di Francoforte li acquistano questo significa che non presentano rischi; di conseguenza, abbassandosi i rendimenti dei titoli di stato, diminuisce anche il costo dei finanziamenti all’industria, quello ai privati, cresce la massa monetaria in circolazione e quindi si stimolano i consumi.
Non ci vuole molto a capire che quando la inflazione sale, i meccanismi finanziari ora descritti cominciano a diventare fonte di problemi.
In questi mesi lo hanno confermato l’aumento dei tassi di interesse annunciato dalle banche centrali di tutto il mondo e, finalmente, anche dalla BCE.
Quest’ultima alla contabilità della inflazione interna si trova a sommare anche la inflazione importata dalla svalutazione dell’euro verso il dollaro americano.
Il 2% di inflazione nell’eurozona, criterio guida della recente decisione di BCE, rimane comunque un obiettivo futuro perché per il momento è ancora un sogno.
Ecco quindi che Christian Lagarde all’aumento dei tassi di interesse ora ha abbinato anche un Transmission Protection Instrument-TPI, subito ribattezzato dai media scudo salva-spread.
Con questo nuovo provvedimento l’istituto di Francoforte, per anticipare speculazioni contro i paesi ad alto debito pubblico, e non facciamo nomi per carità di patria, ha confermato di essere pronta ad intervenire ad ogni costo, per evitare che la sfiducia nelle capacità finanziarie di un paese si traduca prima in aumento dei tassi del debito pubblico e poi inneschi un rialzo dei prestiti all’industria che a sua volta lo trasferisce ai consumatori, limitandone la voglia di spendere.
Insomma, il TPI vuole evitare che il ciclo virtuoso iniziato da Draghi alla BCE ora diventi una spirale distruttiva in particolare per l’economia ma soprattutto anche per i consumatori, come se le cronache di giornata già non contribuissero a toglierci il buonumore.
Come il suo predecessore alla BCE, anche Christiane Lagarde ha garantito che l’istituto di Francoforte è pronto a difende ad oltranza le scelte di politica monetaria.
Ma i tempi sono cambiati: lo scudo garantito dalla banca comunitaria oggi è concesso a precise condizioni.
Il bilancio nazionale del paese beneficiato deve essere conforme ai criteri UE.
Eventuali squilibri devono poter essere risolti in base alle normative comunitarie.
Il debito deve essere fiscalmente sostenibile secondo le procedure stabilite dalle agenzie internazionali, come International monetary Fund-IMF e simili.
I provvedimenti economici nazionali devono seguire i vincoli che il rispettivo paese si è impegnato a rispettare con il Recovery Plan.
Semplifichiamo: questa volta BCE ricorda ai beneficiati che al tavolo dei pagatori ci sono anche nazioni che vogliono controllare l’uso dei fondi, e impongono che debitore e creditore seguano le stesse regole, uguali per entrambi, senza libere interpretazioni.
In questa calda estate per il governo di Roma gli esami sembrano non finire mai.
Perché oltre ad organizzare le elezioni nazionali del prossimo settembre, ora deve anche impegnarsi a preparare entro fine anno il piano di riforme da presentare alla Unione Europea per ricevere i sussidi di Next Generation, il recovery plan di Bruxelles.
di Andreas Grandi