Per Nicola Di Girolamo, il senatore eletto all’estero nelle liste del Pdl e coinvolto nella “truffa colossale” e nel riciclaggio insieme a 56 altre persone che operano nel campo della telefonia con legami con elementi della ‘ndrangheta – il tempo di permanenza al Senato è scaduto. E coloro che più hanno avuto fretta di farlo decadere dall’incarico sono proprio i suoi compagni di partito, con in testa il presidente del Senato, Renato Schifani che, per l’occasione, venerdì aveva convocato una seduta del Senato per mercoledì 3 marzo.
Ecco la dichiarazione del presidente del Senato: “Alla luce degli elementi emersi negli ultimi giorni con particolare riferimento alla richiesta di arresto, è possibile che la richiesta di autorizzazione contenga nuovi e rilevanti elementi tali da inquadrare in una prospettiva diversa l’intera vicenda dell’elezione del senatore Di Girolamo”.
È evidente che Di Girolamo, data la gravità delle accuse a suo carico, era diventato una patata bollente che il Pdl voleva buttare via al più presto. A giusta ragione, d’altra parte. Già all’indomani della sua elezione in Belgio nell’aprile del 2008, la magistratura aveva inoltrato una richiesta di arresto per il neo senatore, ma le motivazioni non erano “precise”. Si faceva riferimento alla mancanza di requisito per l’elezione, ma di fronte alle assicurazioni dell’interessato che affermava di essere in regola con il permesso di residenza all’estero da almeno sei mesi, se la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato all’unanimità si era espressa per l’arresto, nella votazione in Aula la maggioranza aveva bloccato il provvedimento, anche perché, tutto sommato, la richiesta di arresto sembrava spropositata rispetto al merito della vicenda. Il Senato, dunque, aveva scelto di soprassedere in attesa di altri chiarimenti.
Questi altri “chiarimenti” sono giunti con la nuova richiesta d’arresto che, con foto e con le intercettazioni, si basa su ragioni fondate. Si spiega così la fretta di Renato Schifani, il quale ha anticipato la seduta della giunta per le autorizzazioni, fissata dal suo presidente, Marco Follini, per giovedì 4 marzo.
In seguito alla richiesta della magistratura – l’arresto si spiega con la possibilità per l’interessato di fuggire all’estero e di continuare a reiterare i reati o a nascondere le prove – Marco Follini ha riunito l’ufficio di presidenza sabato 26 febbraio e fissato, come detto, la riunione della Giunta per giovedì 4, ma il presidente del Senato ha anticipato le decisioni della Giunta.
C’è comunque una differenza tra l’iniziativa di Schifani e la decisione finale della Giunta per le autorizzazioni a procedere. L’iniziativa di Schifani non entrava nel merito delle accuse di riciclaggio ma valutava, alla luce dei nuovi elementi della magistratura, la legittimità di Di Girolamo ad essere candidato nella Circoscrizione Estero.
In sostanza, il ragionamento del presidente del Senato era questo: la magistratura ha “precisato” la prova dell’assenza di requisiti per l’elezione ed allora il Senato può votare per la decadenza di Di Girolamo. La Giunta, invece, non valutava solo l’esistenza o meno dei requisiti per l’elezione, ma entrava anche nel merito delle accuse. Nell’uno o nell’altro caso, tuttavia, per il senatore Nicola Di Girolamo si era aperta la strada del carcere. Decadendo, infatti, non sarebbe stato più senatore e la magistratura avrebbe potuto procedere all’arresto. La stessa cosa sarebbe avvenuta in seguito alla concessione dell’arresto da parte della Giunta, la cui decisione, comunque, necessitava di più tempo in quanto doveva essere convalidata dall’Assemblea. L’iniziativa di Schifani – perché è evidente che anche la maggioranza era per l’arresto appena scoppiato il caso – ha accelerato il destino di Di Girolamo che, quando il giornale arriverà ai lettori, probabilmente sarà stato già arrestato.
Egli, appena investito dalle accuse, aveva dichiarato che stava continuando ad essere sottoposto “ad una croce”, alludendo alla prima richiesta di arresto. Noi non siamo giudici e quindi non possiamo condannare nessuno, sarà la magistratura a farlo. Tuttavia, gl’indizi di colpevolezza, esistono. Non sono però le modalità con cui ha ottenuto i circa 25 mila voti – di brogli elettorali e di moltiplicazione di schede ce ne sono stati anche nelle elezioni del 2006, con casi clamorosi sia in Svizzera che nell’America del Sud, senza che la magistratura abbia fatto molto per fare chiarezza – sono le conversazioni intercettate con una serie di personaggi equivoci, che non possono essere smentite anche perché suffragate da foto.
La vicenda di Di Girolamo, al di là del suo coinvolgimento nella truffa e nel riciclaggio, ripropone la discussione sulla totale assenza di controllo e di democrazia in occasione del voto all’estero per corrispondenza. La legge andrebbe radicalmente rivista, anche perché a tutti è noto come la compra-vendita dei voti sia favorita dalle schede che possono venir votate da una sola persona e da più persone che acquistano pacchetti di voto o addirittura migliaia di schede facilmente falsificabili.
Al momento in cui scriviamo, notizie di agenzia danno per imminenti le dimissioni presentate dallo stesso Di Girolamo al presidente del Senato. La lettera, preparata domenica, è giunta sul tavolo di Renato Schifani lunedì primo marzo.
Dunque, il Senato mercoledì non dovrà far altro che accettare le dimissioni e dichiarare decaduta la sua elezione.