Nella gremita sala del liceo artistico di Zurigo si è discusso di quale sarà il futuro dei movimenti associativi che sono stati le basi per la socializzazione in Svizzera
Una risposta concreta, durante la conferenza, non viene fornita ma le tante opinioni pronunciate possono dare uno spunto riflessivo alla situazione odierna. In primis, se questi “movimenti” possono essere definiti tali invece che statici: è l’immobilità di appartenere ad un gruppo stando davanti allo schermo di un computer che prevarrà agli incontri dal vivo e anche alle manifestazioni in cui si sventolava una bandiera di appartenza? Non lo sappiamo, ma latita il fervore di tesserarsi ad un partito o a sposare un ideale, scopi fondamentali per la nascita delle prime associazioni nel secolo scorso. Don Peppone e Camillo, per semplificare, non esistono più. Accanto agli storici gruppi territoriali o sportivi, più o meno attivi, sono nate unioni virtuali partorite dal web con un cambiamento significativo anche nella percezione dell’associazionismo stesso.
I relatori, presentati da Giangi Cretti e Luciano Alban, hanno confermato un quadro preciso di quello che è stato l’associazionismo in passato e nel presente; ruolo che viene preso in considerazione anche dalle istituzioni per monitorare il saldo demografico e le esigenze degli italiani come testimoniato dal console aggiunto Marco Nobili.
L’intervento di Sandro Cattacin, sociologo dell’università di Ginevra, si sofferma sul cambiamento degli scopi associativi, più veicolati alla ricerca di informazioni pratiche e servizi a discapito della creazione di gruppi ideologici proprio per la crescente mancanza di fiducia nella politica o della religione. Cattacin dichiara che l’impegno civico per la nazione sta sparendo rispetto agli ideali del 900 a favore di una mentalità più globalizzata e meno territoriale. Inoltre, il mutamento del mercato del lavoro può permettere ad un lavoratore di fare esperienze in diverse nazioni nell’arco della propria carriera, diminuendo il legame sociale che si crea in un territorio in cui si risiede per poco tempo. Anche Irene Pellegrini, ricercatrice, conferma la fluidità delle persone italofone che, grazie a profili professionali diversi, considerano la nazione ospitante come una tappa e non come la meta finale a differenza delle migrazioni di decenni fa. Lo spostamento è verso piattaforme digitali in cui la vita associativa impegna meno e garantisce informazioni. È il caso del gruppo a cui appartiene Eugenio Serantoni il quale, dal portale web Zigss, fornisce aiuti pratici ai ricercatori dell’Università di Zurigo organizzando anche incontri e scambi culturali nell’ottica di un mercato del lavoro globale.
Sergio Sotgiu, rappresentante dell’associazione Sardi in Svizzera, si sofferma sul valore politico e sulla mancanza di ideologie di una società che più che fluida definisce quasi, ironicamente, gassosa ed evanescente. Gaia Restivo, rappresentante della Fabrica di Zurigo, presentando la sua associazione apolitica, specifica con orgoglio il numero prevalentemente di donne che accoglie al suo interno con storie di emigrazione differenti.
Conclude Antonio Solazzo con, dati alla mano, un’analisi del mondo associativo digitale che ha monitorato grazie al suo gruppo facebook Italiani a Zurigo con Admin. Ne scaturisce un approfondimento in cui si intuisce la volontà di associarsi in gruppi sempre più specifici per soddisfare le proprie esigenze personali (gruppi di offro-scambio o di ricerca di lavoro) ma che, complice le poche attività di incontri reali tra membri, chiudono o rimangono inattivi molto facilmente.
Gloria Bressan