All’appuntamento scientifico annuale ad Erice gli scienziati tracciano il bilancio del nucleare dopo Fukushima
All’indomani dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima (Giappone) – incidente, va ricordato, provocato non da un guasto alla centrale stessa e nemmeno dall’onda alta ben 12 metri (un evento eccezionale), ma dal fatto che l’elettricità saltò bloccando i sistemi di raffreddamento dei reattori – in Italia l’esito del referendum sulla costruzione di quattro centrali fu deciso dall’emotività, esattamente come nel 1987, dopo Chernobil. Anche all’estero ci fu una riflessione, ma una cosa furono le opinioni espresse in tv e sulla stampa e un’altra cosa sono state le decisioni del governo.
In Italia, per essere precisi, con la bocciatura espressa dal popolo alle decisioni del governo di dotare il Paese di una produzione autonoma di energia elettrica pulita, si è rinunciato ad avere una politica energetica nucleare. Alcuni (o molti) diranno che è un bene, ma ripiegare sull’eolico e sul fotovoltaico non offre una scelta ottimale e vantaggiosa. L’eolico, oltre che abbruttire il paesaggio, è solo una soluzione molto parziale, perché le industrie non possono funzionare solo quando c’è vento, e comunque costa il doppio del nucleare. Il fotovoltaico ha vari inconvenienti: i pannelli costano cari, vanno smaltiti da ditte specializzate dopo una ventina d’anni perché contengono cadmio, un elemento radioattivo, e funzionano per lo più di giorno, quando c’è il sole. Rispetto al nucleare, il fotovoltaico costa sei volte di più. Ma, dicevamo, il popolo è sovrano.
Altrove non è stato così, le decisioni non sono ideologiche, sono pratiche. Al recente, annuale appuntamento di scienziati ad Erice è venuto fuori che dopo Fukushima le centrali nucleari saranno destinate non a diminuire ma ad aumentare. I numeri li ha dati la britannica Barbara Thomas Judge, che ha detto che attualmente sono in funzione sul pianeta 433 centrali nucleari, che altre 63 sono in costruzione, mentre 160 risultano già pianificate. Inoltre, che ci sono 329 nuove proposte in singoli Paesi da parte di società internazionali. In sostanza da qui a fra vent’anni il numero delle centrali sarà raddoppiato, sfiorando le mille unità. Il Paese che ne conta di più sono gli Usa (104 centrali in funzione), segue la Francia con 58 e il Giappone con 50, anche se il professor Tatsuo Masuda ha precisato che “il nostro governo ha deciso il fermo di tutte le centrali il 5 maggio scorso. Ora ne sono state riattivate solo 2 ed è stata nominata una commissione che metterà a fuoco nuove e più stringenti regole di sicurezza. Solo dopo si deciderà se e quali centrali potranno riprendere il loro lavoro”.
La Cina ha solo 16 centrali in attività, ma altre 26 sono in costruzione, in più 51 già pianificate e 120 proposte. Dunque, entro dieci anni ci saranno197 nuove centrali made in China, dove adesso domina ancora il carbone, molto inquinante. La scienziata britannica ha anche messo l’accento sulla volontà dei Paesi ex sovietici di dotarsi di centrali nucleari per avere autonomia energetica. Basta pensare alla Bulgaria, un Paese di poco più di 7 milioni di abitanti. Dopo Fukushima, il governo decise una pausa di riflessione, ma contro questa decisione sono state raccolte in poco tempo 800 mila firme.
Antonino Zichichi, fisico e organizzatore degli appuntamenti scientifici a Erice, ha messo l’accento sulla sicurezza: non tanto quella che obbedisce già a standard elevati, come in Usa, Cina, Francia e in altri Paesi tecnologicamente avanzati, quanto quella che potrebbe lasciare a desiderare in Paesi in via di sviluppo. Ecco la sua opinione e la sua proposta: “L’80% delle centrali nucleari in costruzione sono concentrate nel Terzo mondo, dove i livelli di sicurezza non sempre sono ottimali. Tutto questo è inevitabilmente una fonte di allarme per il Pianeta”. Antonino Zichichi è favorevole alle centrali nucleari, come lo è Umberto Veronesi. Di qui la sua proposta: la creazione di un’autorità internazionale con potere di “dettare le regole”, cosa che attualmente l’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica dell’Onu) non ha.