
Premessa Questo mio testo si propone una riflessione critica sulla trasformazione radicale della società contemporanea, dominata da crisi ricorrenti e dall’avanzata inarrestabile della tecnologia e del transumanesimo parte integrante dell’Agenda 2030. Temi non nuovi ma ricorrenti in un’epoca della normalità delle emergenze che fanno da propulsore nella transazione verso un mondo nuovo dominato da neoliberismo, tecnocrazia e globalismo, a discapito dell’umano sempre più subordinato come account.
La popolazione, volutamente disinteressata a ciò che succede al di fuori del proprio giardino, è in realtà disorientata e impaurita e accetta passivamente cambiamenti profondi che impoveriscono la vita sociale e culturale. Il tutto in nome di principi apparentemente positivi come il progresso tecnologico e la digitalizzazione. L’intelligenza artificiale e le bio e nano-tecnologie, pur presentate come soluzioni, rischiano di annientare l’identità umana, portando a una mutazione antropologica irreversibile. Tutti questi miei discorsi hanno un valore pari alla fuffa per coloro che vivono al di fuori della collettività, e curano il proprio orticello della quotidianità. Ogni tanto qualche discorso introspettivo per rivendicare il poco tempo disponibile per analizzare i mali che ci affliggono. Oggi pensare criticamente, si riduce nello svuotare il linguaggio, sostituendo dei corpi reali con identità digitali e il pericolo di una cultura algoritmica che riduce la complessità dell’essere umano a input digitali. Come profetizzava Heidegger, l’uomo rischia di diventare strumento della tecnica anziché soggetto. Io senza giudizio e moralismi intellettuali, sono un frammento che narra sulle crisi susseguitesi, e che in modalità rana bollita ci rendono sempre più precari e ignari. Il mio è un invito alla resistenza culturale e spirituale, recuperando la manualità, la relazione con la natura, il pensiero critico e la memoria storica. Vedo la figura del contadino o dell’artigiano come simbolo di un’umanità radicata, che custodisce ancora la dignità, la libertà e la verità contro l’omologazione imposta dalla tecnosfera. La vera crisi è quella della cultura e dell’umano, che chiede una risposta etica e politica, basata su una rinnovata fiducia nella comunità e di sentirsi in forma olistica una collettività. Spero di raggiungere lo scopo di questo mio intervento, che vuole opporsi alla superficialità dominante e si propone di risvegliare interrogativi e consapevolezze sopite. Senza ridursi ad un monologo esistenziale sterile per un consumo di nicchia. Buona lettura.
Globalizzazione e protezionismo sono i due volti dello stesso paradigma neoliberista. La prima intesa come processo di estensione planetaria dei rapporti sociali fondati sullo scambio mercantile, ha prodotto effetti sia inevitabili quanto distruttivi. La narrativa di abbattere barriere e connettere il mondo ha invece accentuato fratture profonde tra società e sistemi produttivi, con impatti devastanti sulle persone e sull’ambiente. La delocalizzazione industriale, ad esempio, ha spostato la produzione verso paesi con legislazioni sul lavoro meno tutelanti, contribuendo allo svuotamento dei sistemi sociali nei paesi d’origine e alla distruzione sempre più evidente dell’ambiente e dei suoi ecosistemi su scala globale.
Lo squilibrio generato dalla globalizzazione ha ampliato le disuguaglianze e prodotto una vulnerabilità sistemica: il benessere di alcuni (noi) si fonda sulla marginalizzazione di altri. In questo scenario, il ritorno al protezionismo — come dimostrato dalle politiche dell’era Trump — non rappresenta una vera alternativa, ma una reazione interna allo stesso paradigma. Sia globalizzazione che protezionismo restano ancorati ai principi cardine del neoliberismo: competitività, produttività, profitto. Sono le due facce della stessa medaglia. E finché queste consapevolezze restano sopite, il sistema continuerà a rigenerare le stesse disuguaglianze che finge di voler risolvere. La crisi contemporanea è economica, politica, culturale e istituzionale. Le democrazie del dopoguerra appaiono svuotate, incapaci di affrontare le disfunzioni del modello globale. La partecipazione si è trasformata in passività: i cittadini, più consumatori indebitati che attori politici, sono inglobati da una tecnocrazia dilagante, ripiegati sul proprio benessere individuale, senza più guardare oltre il proprio recinto. In una società dominata dal liberalismo, l’egoismo diventa una virtù e la competizione una regola. Si crede che, inseguendo solo il proprio interesse, si finisca per aiutare tutti: la famosa “mano invisibile” del mercato, dimostratasi poi un’illusione aberrante. In un mondo senza valori condivisi né ideali morali, anche chi è al potere non ha motivo di fare altro che i propri comodi. Tutto questo ha minato le basi della solidarietà e del senso di comunità. In sostanza, globalizzazione e protezionismo, (come tutti i partiti politici) anziché risolvere le crisi che genera, le riproduce sotto forme nuove e sempre più distruttive. Essendo ognuno un nucleo isolato, la percezione è difficoltosa senza iniziative isolate o studi mirati. Ma ci dirigiamo verso una tensione tragica, con, da un lato l’individualismo neoliberale che promette libertà assoluta e godimento illimitato; dall’altro, produce solitudine, alienazione e marginalità.
Le Consapevolezze sopite che dormono tranquille finché non diventano socialmente accettabili.
Esempio Flotilla Ancora parlo dell’individualismo come di una religione laica: ognuno pensa a sé, finché non arriva un’occasione “sicura” per indignarsi in gruppo, magari ben confezionata dai media. Prendiamo Gaza. Una tragedia che dura da decenni, ignorata con zelo da chi preferisce occuparsi di cause meno scomode. E poi, dal 7 ottobre, un genocidio trasmesso in diretta, come mai si era visto nella storia contemporanea. Silenzio. Imbarazzo. Al massimo qualche post con la bandiera. Poi in pieno genicidio arriva la Flotilla. Qualche nave, qualche attivista, qualche bandiera bianca, ed ecco che la coscienza collettiva si risveglia, non avendo nulla da perdere. Quando il potere non consente contestazione diretta, la protesta si traveste. E allora, sotto la coperta calda della “solidarietà”, ci si permette finalmente un po’ di dissenso, purché sembri umanitario, non politico. Lo stesso meccanismo lo abbiamo visto col Green Pass: libertà costituzionali sospese nei paesi che si autoproclamano paladini della democrazia, eppure tutti in riga. Troppo rischioso. Troppo “di destra” opporsi. Meglio aspettare un simbolo più neutro per tornare a dire qualcosa. Alla fine, più che un risveglio, sembra un colpo di tosse della coscienza. Ma in tempi come questi, è già qualcosa. Invece che embarghi o sanzioni e processo ai leader sionisti e il resto della cricca imperialista, la improponibile soluzione dei due stati, aiuti umanitari da incentivare, e disarmare l’unica resistenza pardon terroristi dei Gazewi. Come invoca Papa Leone ripetendo come un mantra la parola pace, senza mai nominare i responsabili, anzi ricevendo in udienza Isaac Herzog (Presidente dello Stato di Israele) il 4.9.2025. Da buoni membri dell’Elite hanno parlato della soluzione dei due Stati, aiuti umanitari, diritti delle comunità cristiane e pace in Medio Oriente. Dietro le quinte poi si firmano nuovi contratti per la gioia dei costruttori di morte. Viva Trump prossimo candidato al proemio Nobel per la pace, come il suo predecessore Obama che fece radere al suolo al Siria bombardandola per settimane e causando oltre 250’000 morti. La contestazione in piazza viene consentita anche incentivata se non mette in pericolo le strutture dello stato che servilmente segue l’agenda imposta dai detentori del capitale. Vi sarà sempre un insignificante gruppo di infiltrati che causerà violenza, giustificando poi le azioni repressive delle forze dell’ordine, così dopo alcuni respiri di libertà di gruppo si rientra al proprio ovile più dimessi di prima e preoccupati di avere lasciato incustodito il proprio orticello, ma ne valeva la pena urla la coscienza!
Rearm Europe riarmiamoci in nome della pace, urlano i burocrati e la mano ferma dei fabbricanti d’armi. Il progetto Rearm Europe non è una contraddizione: è solo la volontà di potenza che torna a parlare dopo anni di sonnambulismo morale. Si chiama “difesa”, ma è la guerra che rientra dalla porta di servizio, tra applausi silenziosi e coscienze assopite. Nietzsche l’avrebbe chiamata ipocrisia elevata a virtù. “E io pago” direbbe Antonio De Curtis, principe di Bisignano!
La bolla dell’IA sta per scoppiare La crescente euforia intorno all’intelligenza artificiale preoccupa persino i suoi promotori principali, come Sam Altman, Zuckerberg e Bezos, che temono una bolla speculativa. I costi per addestrare e mantenere i grandi modelli linguistici superano di gran lunga i ricavi, e il modello di business sostenibile di ChatGPT e simili resta incerto. OpenAI, ad esempio, prevede 10 miliardi di ricavi nel 2025, ma con perdite previste di 27 miliardi. Solo 15 milioni di utenti pagano per ChatGPT, e molte startup del settore registrano bilanci in rosso. Intanto, colossi come Microsoft, Amazon e Google spendono centinaia di miliardi in infrastrutture, ma ne ricavano pochissimo. L’unica grande vincitrice è Nvidia, che vende le GPU a tutte queste aziende, ma che rischia anch’essa in caso di rallentamento. Se la tecnologia non manterrà le promesse, la bolla AI potrà esplodere con conseguenze peggiori della crisi del 2008. Siamo tutti qui ad applaudire l’IA come fosse la nuova salvezza dell’umanità. Eppure, la verità più semplice è quella che nessuno vuole vedere: l’IA non è una rivoluzione, è una bolla finanziaria ben confezionata, costruita per arricchire pochi e scaricare il costo su tutti gli altri. Il ceto medio, già eroso da decenni di neoliberismo, riceverà il colpo finale. E tutto questo sarà venduto come “progresso”. La vera consapevolezza sopita è che l’IA non ci rende più intelligenti: ci rende più dipendenti, più passivi, più incapaci di pensiero critico. Ogni click, ogni automatismo, ogni suggerimento preconfezionato è un grammo in meno di libertà interiore. Ma nessuno lo dice. Perché mettere in discussione l’IA oggi è come bestemmiare in chiesa. E allora si applaude, si investe, si finge di capire. Intanto, il pensiero si spegne lentamente, silenziosamente dietro uno schermo che pensa al posto nostro. Nietzsche direbbe: “quando si smette di pensare da sé, il gregge avanza felice verso l’abisso.”
Le guerre che ti vendono I media mainstream, servi della loro verità ufficiale, ci vogliono convincere che la guerra in Palestina sia iniziata il 7 ottobre 2023 e quella in Ucraina il 24 febbraio 2022. Ma queste sono costruzioni della volontà di potenza che rifiuta la realtà: la storia è più complessa, e chi ha occhi per vedere lo sa. Credo che la guerra venga progettata, confezionata e venduta come un prodotto, e la propaganda appare per quello che è: marketing bellico che opera sul fronte esterno e — soprattutto — sul fronte interno, piegando la mente delle masse. Ma non è tutto narrazione: c’è un feroce calcolo economico dietro. Fondi di investimento e grandi azionisti lucrano in tutti i momenti della catena — dalla produzione di armi alla ricostruzione post-bellica, trasformando la distruzione in profitto. Questi detentori, affamati di rendimento, finanziano anche l’apparato informativo che chiede il nostro consenso, affinché i costi sociali di quei profitti siano sostenuti da noi, dai nostri redditi, dalle nostre vite spezzate. Così la guerra diventa merce, e la verità un bipensiero. Conoscere i meccanismi economici, psicologici, mediatici significa interrompere la catena. Chi rifiuta il gregge, chi cerca la verità oltre le menzogne ufficiali, può usare questa conoscenza per disinnescare la macchina della guerra e sottrarre potere a chi lo esercita per profitto. In tempi di inganni, la verità è un atto di forza a cui non ci si inchina.
Il mio telegiornale La notizia del giorno è: La Farsa della Pace: Manipolazione, Sterminio e Soggiogamento. Fossi io a leggere le notizie nei telegiornali ciò che vi offrirei sarebbe un esilarante e amaro resoconto di una realtà che farebbe tremare anche il più audace degli spiriti umani. “Benvenuti al telegiornale! Oggi vi presentiamo la pace, quella vera, quella che non solo distrugge popoli, ma crea nuove opportunità di profitto per le élite! Mentre il sangue ancora scorre sulla Striscia di Gaza e le ceneri delle città distrutte si mescolano al vento, vi raccontiamo che Trump, l’evergreen immobiliarista, ha finalmente trovato il modo di risolvere tutto: con un piano di pace. Un piano, ovviamente, che nessuno ha chiesto, se non coloro che vogliono vedere la terra risorgere come lussureggianti resort turistici. Ma non temete, i palestinesi potranno tornare! Ma solo a fare i camerieri, uscieri, autisti, nelle nuove strutture di lusso, a servire i veri padroni del mondo!” Ecco, come dovremmo ridere di questo. “Pace” in un mondo dove il valore della vita è misurato in profitti e immobili, un piano che annuncia il trionfo della volontà di potenza delle classi dominanti, senza nemmeno un briciolo di vergogna. Queste sono, mentre sghignazziamo sarcasticamente, “soluzioni” moderne, mascherate da civiltà. Presentato in pompa magna da Trump alla Casa Bianca, alla presenza di Netanyahu, tale piano in 20 punti in stile corleonese non costituisce una proposta negoziale, ma un ultimatum nei confronti di Hamas e dei palestinesi, che non sono stati in alcun modo consultati. Mentre il sangue dei morti serve come terreno fertile per nuove costruzioni e la distruzione diventa il seme per il futuro della speculazione, le voci dei popoli ridotti in schiavitù sono silenziate da una sinfonia di buoni affari. Al culmine della nostra civilizzazione, come potremmo mai pensare che i popoli oppressi avrebbero qualcosa da dire su ciò che i più forti hanno già deciso per loro? Nel frattempo, l’Italia, nel suo zerbiniano altalenare tra poteri e opportunismi e la Svizzera, con la sua tanto celebrata neutralità che di fatto nasconde una complicità silenziosa, si preoccupano solo di fare felici i loro azionisti detentori dei loro titoli. Alla fine del 2010 fu scoperto il grande giacimento di gas Leviathan, a meno di 200 km dalle coste di Israele e Gaza, in parte nelle acque palestinesi dove già esisteva il giacimento Gaza Marine, scoperto nel 1999 e stimato in 1.000 miliardi di m³ di gas. Inizialmente la British Gas, l’ANP e una compagnia privata palestinese avevano un accordo di sfruttamento, ma Israele lo bloccò tentando di ottenere il gas a basso costo. Con la mediazione di Tony Blair, fu poi riacceso un compromesso che assegnava a Israele i tre quarti dei profitti, con la quota palestinese gestita da Usa e Regno Unito. Dopo le elezioni del 2006, Hamas rifiutò quell’accordo, interrompendo il progetto. Nel grande gioco di potere che si svolge sulla pelle dei palestinesi, Israele, sotto Netanyahu, ha scelto di manipolare la verità. Con l’aiuto di una compagnia guidata da Brad Parscale, ex responsabile della campagna di Trump, i social media vengono inondati di contenuti filoisraeliani, mentre intelligenze artificiali come ChatGPT vengono addestrate per supportare la narrazione di Israele. La pace, così, diventa una finzione costruita ad arte, un velo dietro cui si nascondono interessi economici e geopolitici. Il piano per Gaza, concepito come un progetto immobiliare, è l’ennesima dimostrazione di come la distruzione diventi affare. Se Hamas rifiuta il piano, la giustificazione per proseguire la guerra sarà pronta, mentre se accetta, la “Riviera 2.0” sorgerà sulle rovine, con i palestinesi ridotti a servire l’élite in un futuro di sottomissione. Così, la scelta tra sterminio e schiavitù diventa l’unica “opzione” possibile. Una finzione che i veri padroni del denaro e della guerra ci impongono per mascherare la loro insaziabile voracità. E, non dimentichiamolo, il genocidio della popolazione palestinese non è che l’ennesima pagina di una lunga, sordida tradizione. Un genocidio che si può paragonare ai massacri delle potenze coloniali europee: dagli hereri in Namibia (1904-1907), alle atrocità della Francia in Algeria, dalle carestie indotte dalla Gran Bretagna contro irlandesi e indiani, fino ai massacri delle popolazioni etiopiche e libiche per mano dell’Italia. Una continuità tragica, che si ripete inesorabilmente, sotto il segno della speculazione e dell’impunità, sempre in nome dell’imperialismo. La verità detta in questo TG è che opporsi al genocidio e all’oppressione dei palestinesi da parte di Israele significa lottare, innanzitutto, contro l’imperialismo statunitense ed europeo. Termina qui il notiziario e vi rimando alle rubriche. Mi autocensuro, perché questa sarà l’unica volta che mi ascolterete sotto queste spoglie.
Disobbedienza civile Non basta votare ogni cinque anni. Serve che ognuno si metta in gioco, con delle piccole rinunce che avranno un forte impatto sulle decisioni dei governi che calpestano sempre più le costituzioni. Diciamocelo, non si va in piazza o si boicottano le merci per solidarietà verso il genocidio in Palestina o verso i paesi che subiscono l’arroganza imperialista, ma per il timore che un futuro non troppo lontano la prossima Gaza sarà la nostra città. Le aziende che distruggono l’ambiente vendono armi o le big tech che manipolano e avvelenano l’informazione agiscono impunemente, senza alcuna morale ma con la legge del più forte, compromettendo la pace e la verità. Non acquistare, disinvestire, denunciare, non smettere di usare il contante, fare pressione su banche, fondi e governi che li sostengono sono le nostre ultime armi. La rabbia non va repressa né sfogata a caso: va trasformata in azione continua organizzata, con alleanze e consapevolezza e tanto coraggio.
Riflessione finale Le Consapevolezze sopite giacciono come semi non svelati del nostro spirito, nel letargo della quotidianità in attesa che una luce li risvegliano dal torpore delle nostre abitudini. In una sorta di sonno vigile, il nostro desiderio distorto di comodità e di fuga dalle sfide, aliena una realtà senza parvenza di crudezza ma gentile. Mentre là fuori tutto è in continua evoluzione, l’indifferenza prevale rendendoci inermi e succubi di fronte agli eventi. L’alternativa all’individualismo è il risveglio delle consapevolezze che giacciono assopite e trasformarle in una conquista del piacere per la verità piuttosto che l’oblio. Non vi sarà pace in Palestina senza giustizia, sapendo che la strategia è sempre la stessa: distruggere, seminare il caos e poi arricchirsi ancora di più “ricostruendo”. Non ci siamo lasciati turbare dalle dichiarazioni genocide di Trump, applaudite dall’ebreo più nazista della storia, sulla ricostruzione di una Riviera sulla costa di Gaza dopo aver liquidato ed eliminato i suoi abitanti naturali. Dopo Gaza e l’Ucraina, i prossimi possiamo essere noi. Prima della distruzione, del caos multiculturale. Solo attraverso la conoscenza e risveglio del pensiero critico, si è veramente consapevoli della propria finitezza e vivere veramente liberi. Il sonno dell’indifferenza è il vero nemico da combattere.
Mario Pluchino
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